Ciao, io sono Giorgia e ti mando Zarina – la newsletter sullo sport femminile – una volta al mese, l’ultimo sabato del mese.
È evidente che questo mese siamo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia e la Zarina di febbraio è slittata alla prima settimana di marzo ma da un mese sono alle Canarie e un po’ la mancanza di internet e un po’ la chiusura di un libro (scritto da me) che uscirà a metà aprile hanno fatto sì che questo numero uscisse con un po’ di ritardo. Credo e spero che a marzo torneremo ad essere puntuali.
Ma andiamo alle cose importanti.
Ricordo ancora una sera dello scorso autunno in cui nel suo appartamento di Friedrichshain Pia è venuta a sedersi al tavolo con me, ha accavallato le gambe e incrociando le mani sul grembo mi ha chiesto quando Zarina si sarebbe finalmente occupata di sport invernali. Da austriaca qual è, mi disse, si sentiva un po’ trascurata. Chiaramente io le ho detto la verità: degli sport invernali non so pressoché nulla ma mi sarei messa a cercare qualcun* di competente sull’argomento. Quando poi sono iniziate le Olimpiadi invernali di Pechino, Pia mi ha scritto un messaggio su Whatsapp linkandomi la pagina ufficiale dei Giochi Olimpici invernali e commentando “scusami, non ho resistito” preceduto da uno smiley con gli occhi a stella. Era chiaramente un ulteriore invito a trattare l’argomento.
Ci ho pensato un po’ a chi potesse scrivere questo pezzo sulle Olimpiadi di Pechino e considerato lo storico che ho appena descritto (ci sono molti altri momenti in cui Pia mi ha raccontato dei lunghi giorni trascorsi in montagna con la tavola da snow) chiedere a lei di provare a raccontare lo snowboard femminile mi è sembrata la cosa più ovvia da fare.
Ne è venuto fuori un pezzo a metà fra il memoir – adoro la parte in cui racconta di come lo snowboard sia stata la sua prima forma di ribellione in un paese in cui (l’Austria) lo sci ha sempre avuto un’importanza prioritaria – e un vademecum delle ragazze che di questo sport hanno fatto la storia. È una buona occasione per partire dalle basi e imparare i nomi delle snowboarder pazzesche ma anche per informarsi sulle medaglie d’oro che sono appena state assegnate a queste Olimpiadi.
Il secondo pezzo è una pennellata della nostra Elena Marinelli sull’ArgaveCup disputata dalle nostre Azzurre del calcio. La finale combattuta con la fortissima Svezia si è conclusa con un errore al dischetto che è certamente amaro ma che nel complesso ci parla di una squadra che si presenta all’Europeo con una formazione che ci fa sognare notti magiche.
Partiamo subito con i trick sulle rampe.
La Zarina di Febbraio è lo #snowboard
Le Zarine delle nevi.
di Pia Hüttl
Prima di cominciare, una raccomandazione: se come noi non sapete molto di snowboard, Pia ci ha fornito un dizionario online da consultare per partire dai basics: si chiama Dizionario dello Snowboard.
A otto anni trovai un regalo più grande dell'albero di Natale: uno snowboard. Ma non solo, si trattava di uno snowboard con un’attaccatura per le softboots1, ultimo prodotto d'importazione necessario per evitare di imparare lo snowboard ancora con gli scarponi da sci indecorosi e ingombranti. Feci le mie prime discese il giorno stesso, dietro casa mia, su un terreno pendente e innevato – il vantaggio di crescere in un piccolo paese austriaco di montagna. E fu, secondo me, la mia primissima ribellione contro ciò che mi circondava. Erano gli anni Novanta e l'Austria una nazione di sciatori e sciatrici pluridecorate alle coppe mondiali e alle Olimpiadi. Nel 1994 infatti a Lillehammer, in Norvegia, si svolsero le Olimpiadi invernali e l'Austria finì all'ottavo posto per il conteggio delle medaglie. In questo medagliere si annoveravano tra l'altro una medaglia d'oro nello slalom degli uomini (Thomas Stangassinger), una d'argento nello slalom delle donne (Elfi Eder), e due di bronzo per il salto in lungo dello sci.
Dello snowboard come disciplina olimpionica mancava ancora ogni traccia, e sarebbe stato così fino alle Olimpiadi invernali di Nagano del 1998. E anche sulle montagne austriache c'erano ancora pochi snowboarder a popolare le piste. Però il senso di libertà era unico. Per me andare sullo snowboard significava niente pressione di vincere le gare di sci del paese, niente tv accesa per seguire lo sci alpino la domenica ma anche essere costretta ad andare comunque con gli sci durante la settimana bianca perché ancora gli insegnanti di snowboard erano rari. Le costrizioni da sci erano come evaporate nelle possibilità che mi regalò lo snowboard: le piste erano diventate un parco giochi simile alle città per chi fa skate, la neve alta il mio personalissimo mare, da surfista che non ero.
Ho fatto le prime esperienze girando fuori pista, dove si costruivano anche le prime rampe. Mi spingevo a fare i salti cercando di girare il corpo. Prima mezzo giro, 180 gradi dunque, poi un giro intero, 360 gradi. I più audaci (non io) provavano anche i salti mortali, in avanti (front flip), all'indietro (backflip), o un cork, una rotazione del corpo fuori asse. Tutto questo si può fare in combinazione con un grab: appena si è in aria si afferrano i bordi della tavola con una o due mani, e le denominazioni dei salti indicano i punti della tavola dove la mano tocca. I più famosi sono l'indie grab se la mano posteriore tocca la tavola vicino al piede davanti, nose o tale grab se la mano tocca la punta o la coda della tavola. Il mio preferito, quello più stiloso di tutti, è il bellissimo method2, il signature move di Chloe Kim che ha vinto l’oro alle Olimpiadi di Pechino nella categoria halfpipe3 quest'anno.
Tornando all'Austria degli anni Novanta, le rampe artigianali non mi bastavano più. L'onda dello snowboard aveva conquistato i giovani e alcuni resort sin dall'inizio si erano specializzati nel creare enormi parchi sia per il divertimento che per l'allenamento. Il Penken Park a Mayrhofen era ed è ancora uno di quelli (quest'anno ha festeggiato i suoi 22 anni di esistenza) o anche il Better Park sul ghiacciaio di Hintertux. Queste strutture di solito offrono dei percorsi a seconda della grandezza delle rampe. In genere ce n’è uno medio, che consente salti dai 5 ai 7 metri (il metraggio indica la distanza tra il salto e l'inizio dell'area di atterraggio) e un percorso grande, con salti dai 7 ai 10 metri. In certi casi si arriva a salti che percorrono distanze fra i 15 ed i 20 metri.
Accanto a quelle rampe non poteva mancare un halfpipe o anche un superpipe (in pratica una halfpipe gigante), con le pareti alte sui 7 metri. Questo fa sì che in competizione i rider si possano trovare sospesi in aria anche a 15 metri. A mano a mano anche questi parchi si popolavano sempre di più con rails e boxes come ostacoli per divertirsi, prendendo spunto dallo skate.
Quello era il regno della mia gioventù, facevo i salti accanto a quelli più bravi, selezionati nel team della Burton, della Forum, che poi andavano a fare competizioni in giro per il mondo... E soprattutto, una volta trovato uno sponsor, si poteva partecipare ai video da snowboard: di solito finanziati da qualche brand di apparel uscivano a inizio stagione. Erano un misto di free-ride e parco. Per il free-ride dell'equipaggio di film maker e rider andava in giro per il mondo alla ricerca di una qualche catena montuosa sperduta (ad esempio del Kamčatka) a filmare le discese più audaci e belle dei riders. È questo il significato del termine "free" nel free-ride. Si filmavano i tricks più complicati sulle rampe o sugli ostacoli. A volte quegli ostacoli venivano filmati in mezzo alle città innevate e i rider che scendevano le scale delle loro vecchie scuole. L'idea era di rendere lo spirito dello snowboard e diffonderlo. Questi video diventavano subito cult e poi se ne parlava per mesi.
Per essere sponsorizzata e messa su un elicottero verso l'Alaska anch'io, partecipai a qualche big air organizzato dall'associazione snowboard del mio paese. Per un po' sono davvero riuscita a ignorare la mia mancanza di coraggio, ma è durata poco.. Il big air è una rampa grande sul quale fare dei trick davanti ad una giuria. Di solito c’erano a disposizione tre tentativi e il punteggio dei migliori due veniva sommato per accedere alla finale. Comunque io con un bel salto 180 finii seconda una volta – perché di ragazze ce n'erano due. Il big air più importante era sicuramente l'Air&Style organizzato a Innsbruck. Nelle prime edizioni erano tutti ragazzi a partecipare, le ragazze non avevano ancora una loro categoria.
Una competizione per sole ragazze invece fu la ROXY Chicken Jam sul ghiacciaio di Kitzsteinhorn, a Kaprun nel 2006. Le discipline erano due, un slopestyle, cioè una combinazione di ostacoli e rampe, e un halfpipe. I miei idoli di quegli anni, Cheryl Mas e Jamie Anderson li vinsero entrambi. Erano le prime ragazze a far vedere un 540 (una rotazione 360 + 180; un giro e mezzo) o anche un 720 (due giri completi) alle rampe. Io non avevo partecipato, però anche da spettatrice era impressionante vedere lo spirito d'insieme di queste ragazze, a sostenersi reciprocamente per progredire e per farsi coraggio prima del loro turno. In quegli anni uscì anche il primo video europeo di solo ragazze con lo snowboard: Dropstitch.
Cheryl Mas, Jamie Anderson, Thora Bright a divertirsi sulla neve, a far vedere i loro tricks più difficili sulle rampe gigantesche, il loro style. Ma soprattutto era interessante sentire altre ragazze parlare della loro passione in uno sport quasi del tutto al maschile. Con gli anni un numero sempre maggiore fra loro avrebbe avuto la possibilità di diventare protagonista di questi video, come poi avvenne con Unconditional della stessa Jamie Anderson uscito nel 2019. Ma nel lontano 2006 averne uno di video che le raccoglieva tutte per la prima volta era già tanta roba.
Quindici anni dopo le Olimpiadi di Pechino si sono svolte con 5 discipline di snowboard: slopestyle, halfpipe, big air oltre a slalom parallelo e snowboard cross. Tralasciando l’immagine post-apocalittica della costruzione del big air stesso (in mezzo ad una zona industriale con tanto di ciminiere á la Springfield e laghi quasi fosforescenti), è impressionante con quale salto Anna Gasser, una snowboarder austriaca, ha vinto la medaglia più preziosa nella categoria “Big Air” a queste Olimpiadi: un “Cab Double Cork 1260” – partendo sulla rampa con il piede destro in avanti (il suo piede è il sinistro) ha eseguito un doppio backflip e poi ha ruotato tre volte e mezzo su se stessa (vedi video).
Mai una ragazza aveva eseguito un salto così complicato in una competizione. Già alle Olimpiadi di PyeongChang del 2018 era arrivata al primo posto con un altro salto nuovo: un “Cab Triple Underflip 1260”. Anna Gasser é una delle ragazze che ha rivoluzionato lo snowboard negli ultimi anni. È interessante come Gasser provenga da una carriera da ginnasta. Prima di interessarsi dello snowboard all’età già avanzata di 18 anni era anche arrivata a far parte della squadra nazionale austriaca. Dopo aver perso metà anno scolastico perché se n’era andata in montagna con lo snowboard (un fatto di cui non é particolarmente orgogliosa), decise di diventare una professionista e di andare in America per un allenamento intenso. Tornò in Austria nel 2013 e diventò subito famosa come prima ragazza capace di eseguire un “Double Cork 900”. E da lì in poi diventò normale sentir dire “un altro FIRST-EVER di Anna Gasser”. Dopo poco più di 15 anni si è raggiunto un livello da non crederci: si ha la sensazione di assistere a uno sport intero che cresce a passi da gigante.
La medaglia d’oro per lo slopestyle4 l’ha vinta un’altra ragazza di un livello pazzesco, la ventenne Zoi Sadowski-Synnot. La neozelandese all’inizio di quest’anno, negli X-Games di Aspen, aveva superato Jamie Anderson – di 15 anni più grande di lei e vincitrice di due medaglie d’oro olimpico nello slopestyle – con una combinazione molto difficile alle rails e un “Frontside Double 1080 Backside Double 1080” alle rampe, una combinazione, quest’ultima invece mai eseguita prima da una ragazza in una competizione.
Anche nella halfpipe, prima disciplina di snowboard a diventare olimpionica, si è passato da un “Backside 540” di Nicola Thorst nel 1998 a due “Back-to-back Frontside 1080” (cioè con il doppio di rotazione, una volta con il piede davanti e poi con l'altro) di Chloe Kim nel 2022. Chloe Kim é un’altra di quelle ragazze che sta portando lo sport ad un altro livello. La ragazza statunitense domina la halfpipe da anni.
Infatti già nel 2018 aveva vinto l’oro olimpico nella stessa disciplina e nel 2022 lo ha vinto nuovamente. A Pechino già aveva la medaglia in mano con il punteggio del primo giro, una situazione che le ha lasciato il tempo e la tranquillità per sperimentare un “Cab 1200” nei rimanenti due giri, una prodezza che non le è riuscita – ancora.
E in tutto ciò queste ragazze continuano a tifare, ridere e scherzare insieme. Poche discipline hanno l'abbraccio di gruppo alla fine della competizione.
Anche lo slalom parallelo ha una star del tutto particolare: Ester Ledecká, della Repubblica Ceca. È stata la prima atleta in assoluto a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi del 2018 sia nello slalom gigante parallelo da snowboard che nel slalom super gigante (il cosiddetto “super-G” ) da sci. Questa vittoria mi é sembrata una rivincita per tutti quelli che come me che non hanno mai sopportato la competizione stupida e insensata tra chi va con gli sci o con lo snowboard. Anche quest’anno Ledecká si é presentata in tutte e due le discipline, riuscendo a difendere la sua medaglia d’oro nello snowboard ma concludendo quinta nello sci.
E io in tutto ciò? Con gli anni ho abbandonato le rampe, ma il mio amore per la tavola da snow non l'ho mai perso. Infatti impazzisco ancora per le giornate con la neve fresca, appena caduta e il cielo blu. E sempre più spesso cerco quelle discese anche fuori dalle piste, dai resort della mia valle, con uno split-board (per questa cosa dello splitboard metto qui un link così vedete di che si tratta, ndr). Un'invenzione che permette di salire le montagne con le pelli sotto agli sci, come nello scialpinismo – che altro non è che una tavola divisa a metà. Una volta arrivata sulla cima con due click diventa una tavola da snowboard pronta per la discesa. Il mio personalissimo mare, lontano da tutti, nel silenzio più assoluto.
Si invecchia bene su quella tavola.
Pia Hüttl vive a Berlino ed è una ricercatrice di economia politica e finanza. Essendo cresciuta in mezzo ai ghiacciai austriaci ha imparato ad andare con gli sci a tre anni e con lo snowboard a otto, e da allora non ha più smesso.
Soft: attrezzatura usata per le discipline freestyle, che permette di compiere più movimento e comodità, le tavole soft sono principalmente bidirezionali ed ha più flessibilità della tavola hard.
Method air: in un salto l'afferrare con la mano davanti la lamina dei talloni davanti l'attacco anteriore, torcendo la schiena, girando la tavola verso valle con ginocchio anteriore flesso e distendendo la gamba posteriore, trovandosi col corpo parallelo al terreno e la tavola più in alto, quindi con le ginocchia flesse.
Half-pipe: struttura a forma di mezzo tubo lunga un centinaio di metri e con i muri alti da 3 a 5 metri. Usato per fare evoluzioni di ogni tipo (disciplina olimpica)
Slopestyle: disciplina che consiste in un percorso che prevede l'uso di diverse strutture come box, rail, salti, wall.
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La Coppa Algarve e il calcio di rigore
di Elena Marinelli
È successo anche stavolta: è partita nella testa di ogni spettatore La leva calcistica del ’68, adattata al 1998, l’anno di nascita di Annamaria Serturini che davanti al sesto rigore da tirare per l’Italia contro la Grande Svezia ha tirato male, debole e la squadra numero 2 del ranking mondiale ha vinto l’Algarve Cup 2022 in finale contro la nostra Nazionale, che si è dimostrata pienamente in grado di tenere a bada una delle squadre più forti del mondo.
Carolina Morace, al commento tecnico in telecronaca RAI, ha aggiunto che lei stessa di rigori brutti ne ha tirati, uno in particolare, e che non importa, davvero: la giocatrice della Roma è giovane (ha 23 anni) non è abituata a questi momenti (esiste un solo modo per imparare a tirare i rigori: giocarseli per il rotto della cuffia) e avrà tempo per rifarsi.
Insomma: a ragione è partita la Leva calcistica, mentre Serturini in lacrime non era d’accordo. Si è sentita in colpa, impotente, non all’altezza. È il potere del rigore in una finale: rischia di ridimensionare la prestazione individuale e quella collettiva e invece si può essere rammaricati, ma la condizione atletica e tecnica delle azzurre è stata molto migliore di tante altre volte.
Fino al 70’, la Svezia era sotto 1-0 grazie a un gol molto bello di Valentina Giacinti su assist di Barbara Bonansea (che ha vinto il premio come MVP della manifestazione, perché ha trovato nuovi modi di esaltarsi e giocare bene, un fatto normale e ancora più evidente ogni volta che si presenta al cospetto delle sfide più grandi) e ha dovuto calare gli assi più importanti, rimasti in panchina fino al quel momento: Lina Hurtig, Stine Blackstenius e la super capitana Caroline Seger su tutte hanno ridato brillantezza e concretezza alla squadra e quando Martina Lenzini compie un fallo da rigore, la parità arriva.
Non è una consolazione dire che c’è voluta la Grande Svezia per arrivare all’1-1: è mettere la sconfitta in prospettiva, il giorno dopo, quando la canzone finisce e ci ritroviamo semplicemente con la consapevolezza che avremmo potuto vincere, se il colpo di testa di Arianna Caruso fosse stato più preciso, se Martina Lenzini non fosse stata in ritardo sulla palla del penalty, se Annamaria Serturini avesse tirato il suo rigore al meglio. Se avessimo avuto un pizzico di lucidità e di esperienza in più: ho nominato tre fra le migliori in campo, non solo nella finale, ma in tutto il torneo, tre calciatrici che nelle squadre di club fanno la differenza.
Anche nelle partite contro la Danimarca e la Norvegia – soprattutto contro quest’ultima – la Nazionale italiana è riuscita a esprimersi al meglio. Le nostre hanno giocato apertamente, senza nascondersi, senza troppe paure, con pulizia in difesa, concretezza a centrocampo e brillantezza davanti. La Norvegia non ci fa più paura e adesso anche la Grande Svezia è a un passo. A un tiro.
Luglio e l’Europeo non sono lontanissimi, ma prima c’è ancora il Mondiale da conquistare e le prove di questa settimana ce lo fanno apparire ancora più a portata.
Un pezzo che ci è piaciuto questo mese
E per restare in thema #snowboard abbiamo questo pezzo remixato da Crussen consigliato da Anna Rabagiova.
Una foto che ci è piaciuta questo mese
Una giovanissima Diana Taurasi abbraccia Ashley Battle. Insieme festeggiano il titolo NCAA del 2004 con le UConn Huskies della University of Connecticut.
Infine ecco la consueta playlist mensile fatta da voi per voi. Questa volta si chiama “Febbraio, il mese più lungo dell’anno” e ha una identità confusa però fa muovere i fianchi mentre lavate i piatti – ve lo dico per esperienza.
Questo numero di Zarina è stato redatto fra Puerto del Rosario e El Cotillo – Fuerteventura.
Noi ci risentiamo a fine marzo con alcune cose belle che faremo in giro per l’Italia. A Marzo sarò a Milano, Torino (per Juventus-Lione) e poi anche Roma. Se siete in una di queste città e vi va di incontrarci, scrivetemi per mail a giorgia@zarinanewletter.it
Besos e ricorda: #siamotutt*Zarina