Ciao! Sei su Zarina, la newsletter sullo sport (femminile) che questo mese è andata dritta sul calendario e non è uscita l’ultimo sabato del mese ma in un momento totalmente casuale intorno alla fine del mese.
È il 24 febbraio del 2020 e la cantante pop Elodie è stata invitata alla trasmissione “Deejay chiama Italia” di Radio Deejay.
Quel 24 febbraio è un momento in cui inizia a farsi sempre più forte il dubbio se abbracciarsi sia una buona idea oppure no, ma Linus racconta ai microfoni di aver abbracciato la cantante già fuori onda ed esordisce live dicendo: «Madonna quanto sei magra!».
Quando vedo l’intervista sono le tre del mattino e da qualche giorno sono entrata in fissa con l’album “Noi, loro, gli altri”. Per ovvii motivi di ricerca filologica sulle questioni sottese alla scrittura dei testi di Marra non posso fare a meno di passare anche dalla voce di Elodie che è stata la compagna del rapper e ricorre in alcuni brani.
Quella notte infatti mi faccio acchiappare dal titolo dell’intervista “Elodie racconta com'è nato l'amore con Marracash“ – perfetta quindi per la mia ricerca. Salvo poi scoprire da lì a breve che nella puntata pochissimo si parlerà di Marracash ma moltissimo del primo album della cantante uscito da poco e intitolato “This is Elodie”. L’esclamazione di Linus («Madonna quanto sei magra!») è messa lì come una battuta che arriva in ritardo di almeno dieci anni sui tempi in cui questo tipo di comicità avrebbe fatto ridere; tuttavia mi rendo subito conto che in quell’apertura ci deve essere un sottinteso, un gossip, qualcosa che deve aver avuto a che fare con la forma fisica (di Elodie?) e che risale ad un determinato momento storico (forse il Festival di Sanremo?) in cui io probabilmente ancora non so nemmeno dell’esistenza della cantante.
Elodie ride, e con grande eleganza risponde:
Quello è un capitolo chiuso.. ma era semplicemente per sensibilizzare..nel senso che bisogna essere sempre attenti a… (ci vuole) sempre un po’ di delicatezza in generale. Poi parlo io che magari forse non sono la donna più delicata del mondo, per carità, però ci sono alcuni argomenti che noi donne insomma…non la prendiamo proprio benissimo. Tutto qua. Niente di più.
Tutto qua. Niente di più. E infatti la questione viene prontamente sorvolata da Linus e da Elodie pure, che ha chiarito quel che doveva ed è finalmente pronta per parlare del motivo reale per cui è lì: la sua musica.
Ho ripensato a questo scambio quando mi sono trovata davanti il testo sul bodybuilding di Francesca Marzia Esposito dal titolo “troppo grosse” che oggi Zarina ha l’onore di ospitare. Troppo magra e troppo grossa sono i due poli estremi di un corpo femminile e la scelta di quel “troppo” è chiaro che tende ad una negatività, ad una sbagliatezza rispetto ad una misura che dovrebbe fungere da parametro e che purtroppo non si è ancora capito bene quale sia. Dico purtroppo perché questo è un interrogativo che è aperto per me da trentasei anni e ogni volta che provo a confrontarmi con qualcuna delle ragazze o delle donne che mi stanno vicine scopro che ognuna di noi non può fare a meno di interrogarsi se in una determinata fase il suo corpo è in salute, in forma, fuori forma, sottopeso o sovrappeso.
In “troppo grosse” si parla – inevitabilmente – moltissimo di corpi. E nel caso specifico di corpi femminili muscolosi, troppo muscolosi, anabolizzati, con i pettorali troppo accentuati al posto del seno, con i seni rifatti al posto dei seni naturali, con i deltoidi ingrossati, le cosce da uomo, drogati, sfiniti, trattati alla stregua di una fisarmonica che si ingrossa e si rimpicciolisce on- e off-season.
Il body building non è certo uno degli sport più frequentati dalle donne, eppure una specie di reame in cui le regine del corpo costruito a tavolino potevano competere era stato creato. Ms. Olympia è una competizione di bodybuilding internazionale per donne che origina dalla più nota versione per uomini denominata Mr. Olympia. Si tratta di una gara molto competitiva dove il primato è affidato alla perfezione del corpo muscoloso che per ovvii motivi però eccede in una muscolarità abnorme e di fatto maggiormente accettata nel corpo maschile. Una donna così muscolosa non è più una donna.
Nel 2014 però la competizione femminile viene apparentemente cancellata per motivazioni legate ad un seguito di pubblico sempre più in diminuzione. La chiusura di Ms. Olympia però è indirettamente legata anche al tipo di femminilità che stagione dopo stagione le culturiste portano in pedana. Quando la competizione si fa importante, le atlete devono per forza di cose alzare il livello della prestazione e nel caso in cui, come nel culturismo, la prestazione atletica è pressoché inesistente, è il corpo che diventa il centro di tutto. Con il passare delle edizioni di Ms. Olympia i corpi delle donne che competono si ingrossano, diventano ancora più scolpiti, perfetti nella precisone con cui i muscoli si staccano dalla pelle. E questo non è semplicemente accettabile, dicono gli uomini che sono (ovviamente) a capo dell’organizzazione della competizione.
L’ultimo numero dell’anno di Zarina è dedicato ad una riflessione basale che ha a che fare con lo sport in senso più ampio. Il corpo troppo grosso, il corpo troppo magro. Qual è il reale problema di fondo di queste esternazioni?
È semplice: che questi commenti sui corpi delle donne non vengono quasi mai dalle donne a cui questi corpi appartengono, ma da qualcuno di esterno che si prende la libertà di settare una misura aurea che in natura – o per lo meno nella natura dei corpi umani – non esiste.
Pam Pam Pam. Iniziamo col botto.
La Zarina di Dicembre è il Body Building femminile
TROPPO GROSSE
Iris Kyle è la body builder che detiene il record assoluto di vittorie nel campo. Con diciassette titoli all’attivo, ha portato a casa ben dieci medaglie di Ms. Olympia e sette di Ms. International (l’Arnold Classic per le donne). Nessuno l’ha eguagliata, nemmeno nella divisione maschile. Classe ‘74, un metro e settanta di altezza, per un peso che oscilla tra i 68 Kg sotto gara e i 75-80 Kg off-season, è soprannominata Chocolate Chip, Iron Maiden, Bertha, The female Ronnie Colemann.
Enorme, ben piantata a terra, con tutta la catena muscolare sbalzata a rilievo, è il prototipo di corpo ibrido che fonde insieme maschile e femminile. Il 2014 è l’anno in cui la Kyle detronizza la mitica Lenda Murray, la culturista che fino a quel momento aveva ottenuto il maggior numero di vittorie, ben otto medaglie di Ms. Olympia, dopodiché la gara viene chiusa.
La decisione e i motivi della cancellazione della gara non vennero mai chiariti apertamente. Si disse che i biglietti staccati per vedere una gara di donne troppo muscolose erano diminuiti. Che quei corpi estremi non piacevano al pubblico. Che fisici così esasperati erano inguardabili: sono un’esagerazione! è disgustoso!, sono troppo grosse!
La stessa cosa stava accadendo nel Body Building (BB) maschile, i corpi pompati crescevano a dismisura, ma a quanto pare la deformazione eccessiva sul corpo delle donne risultava indigesta. Le donne che mettevano su massa in maniera abnorme e puntavano all’estrema definizione muscolare non attraevano. L’opinione dei leader del settore, di coloro che si occupavano di valutare i canoni, e che apprezzavano il corpo da Hulk smodatamente massiccio al maschile, non stimarono opportuno per le donne perseguire lo stesso obiettivo. Non bisognava fomentarne il prototipo. Le donne dovevano mantenere una maggiore proporzione, dovevano rimanere equilibrate nelle forme, non eccedere: non perdere in femminilità. Sì toniche, ma con moderazione.
Insomma, mentre per partecipare a Mr. Olympia i concorrenti della categoria open, la massima, potevano continuare a farsi di anabolizzanti, ormoni della crescita, diuretici, eccetera, per raggiungere dimensioni enormi in nome di una definizione millimetrica tanto più astratta quanto più dettagliata anatomicamente, alle donne ne veniva tolta la stessa possibilità.
Lasciarono la gara Woman’s physique, affiancata alle più recenti Bikini e Wellness, le versioni soft della competizione. Praticamente rimasero in scena i fisici apparentemente natural e cioè non dopati, almeno, teoricamente.
Mantenendo una postura iperlordotica canonica – petto in fuori e fondoschiena anche – le atlete avanzavano su sandali trasparenti a tacchi alti, con la tartaruga ben sagomata sull’addome e l’intera mappa muscolare visibile a fior di pelle, solo avevano misure e forme ridimensionate. Posavano in modo aggraziato, ad esempio le mani non venivano chiuse a pugno mentre contraevano i bicipiti ma lasciate aperte con le dita allungate verso l’alto.
Un innesto tra l’individuo androgino e la versione tradizionale del “femminile” che permetteva di ottenere un esemplare 3D di Barbie palestrata.
La gara di Mr. Olympia venne inaugurata nel 1980, quindici anni dopo l’avvio della competizione di Mr. Olympia. La prima manifestazione di Body Building al femminile risale al ‘77 ma era ancora uno spettacolo alla stregua di un concorso di bellezza. In pieno movimento femminista si affermò il diritto per le donne di partecipare a competizioni sportive vere e proprie e così nacque la Woman’s Physique Division. Con Gina La Spina, considerata storicamente la prima campionessa di bodybuilding, si cambiò rotta e il corpo venne valutato secondo i canoni di muscolosità, simmetria e portamento, esattamente gli stessi usati per gli uomini: Like a man, diventò il leitmotiv. Le concorrenti comunque dovevano gareggiare sui tacchi, e non facevano le pose scultoree per mostrare i muscoli, si limitavano a sfilare. Nel 1983 i canoni virarono verso una maggiore fisicità, più massa, più muscoli, più vascolarizzazione, fino a compiere il salto definitivo con Corinna Everson, sei volte Ms. Olympia, dal 1984 al 1989.
Con Everson ci fu la consacrazione del corpo femminile definito, asciugato, volumetrico, con tutte le vene a rilievo, pronto a scavalcare l’immaginario della donna sensuale e materna; un nuovo corpo rivendicato a incrocio genetico, spinto verso la neutralizzazione del genere. Vennero in seguito create due categorie: lightweight e haevyweight, in modo da separare i fisici più grossi e poterli valutare accettando all’interno della divisione la deriva dell’enormità.
Gli anni a cavallo tra ‘80 e ‘90 sono l’età d’oro di un body building femminile nella versione più simile alla gara maschile. I fratelli Weider, promotori e fondatori della IFBB, la federazione internazionale del BB, furono designati per la costruzione della golden age e portarono il settore femminile a livelli di rilievo mai raggiunti prima. Nomi come Cory Everson, Kim Chyzewski, Tonya Knight cominciarono a diventare popolari e conosciuti da un nuovo pubblico di affezionati. Dopodiché il decennio successivo venne emblematicamente rappresentato da Lenda Murray, una dea muscolosa che manteneva ancora un’armonica proporzione.
Di Lenda Murray si racconta che venne presa da un’autentica folgorazione intorno ai vent’anni, quando entrò in una palestra del Michigan e decise di lasciar perdere il cheerleading (la ginnastica acrobatica coreografata che fanno le ragazze usando i pompon per accompagnare le partite di football) e di dedicarsi completamente al BB. Era il 1984 quando cominciò a lavorare sodo per scolpire il corpo che poi la portò a vincere per ben otto volte consecutive Ms. Olympia. Con la schiena a V e le cosce possenti, non aveva nulla da invidiare ai suoi colleghi maschi, e creò uno standard che per un po’ fu punto di riferimento per le colleghe.
Durante il Ms. International del ‘92 il suo fisico mutò e la cosa non passò inosservata. Ci furono delle polemiche, si parlò di abuso di droghe e di effetti collaterali degli ormoni androgeni. Ben Weider cercò di arginare la deriva dell’ipermascolinizzazione stilando una circolare che introduceva un nuovo canone: Not too big.
Nel 2000 la competizione venne assorbita dal calendario dell’Olympia Weekend e tenuta il giorno prima dello spettacolo degli uomini. Rimase la divisione di peso e, accanto ai parametri di simmetria e sviluppo muscolare (ma non all’estremo! precisarono), furono introdotte nuove linee guida: volto, trucco, look, aspetto sano e femminile, tono della pelle. Quattro anni dopo si inventarono la regola del 20%: “per motivi estetici e di salute”. Le partecipanti alle tre categorie: bodybuilding, fitness, figure, dovevano scendere di massa. Così alle culturiste toccò mettersi ancora una volta davanti allo specchio, osservarsi attentamente, e chiedersi: «Ok, il venti per cento di cosa? Io sono giusta o sono troppa?».
L’ennesimo contraddittorio fu nel 2008 durante Ms. International, quando Iris Kyle venne retrocessa al settimo posto. La motivazione fu: “a causa di evidenti iniezioni di steroidi”. Secondo il giudice l’abuso degli ormoni aveva causato “distorsioni nel fisico”. Spalle troppo muscolose, glutei troppi solidi, deltoidi fuori misura. Quando intervistata alla Pro Bodybuilding Weekly Radio, lei riparlò dei famosi “dossi esageratamente voluminosi”, disse: “Non sarebbe stato un problema, se fossi stata un maschio”.
Le dimensioni estreme richiedono un utilizzo massiccio di AAS (Steroidi Anabolizzanti Androgini) che incrementano volume, forza muscolare e massa magra. Ovviamente sono sostanze che fanno incorrere nel rischio di pesanti effetti collaterali, soprattutto a carico del sistema riproduttivo e cardiovascolare (vd. link). Gli steroidi agiscono poi sulla libido, sulla psiche, sul comportamento, fanno perdere i capelli, gonfiano (e poi ci saranno i diuretici), e questo vale sia per il corpo maschile che per quello femminile. Per gli uomini si aggiunga una maggiore sudorazione, la sensazione immotivata di benessere, l’insorgenza di stati depressivi, e la ginecomastia, che poi sarebbe quando le mammelle si gonfiano in modo anomalo. Mentre nelle donne la virilizzazione provoca anche un’alterazione della crescita dei peli pubici, l’ingrandimento del clitoride, l’irregolarità mestruali e la riduzione del seno.
I corpi messi sotto inchiesta venivano costruiti attraverso una forzatura, è evidente. Sempre sperando che una buona genetica venisse in soccorso e permettesse di tollerare bene le bombe di chimica a cui si sottoponevano. Voler perseguire un’idea di corpo colosso smodato e innaturale era un rischio che in egual misura correvano le donne quanto gli uomini.
Qui non si trattava di rimettere al centro l’importanza del corpo inteso come bene massimo da non sconsacrare, del corpo sano come simbolo supremo da non profanare, qui si trattava di strumentalizzare il benessere dell’individuo per imporre faziosamente un divieto a un settore e non all’altro. I limiti dei canoni al femminile dovevano avere paletti più stretti, mentre la categoria open per gli uomini poteva rimanere il tripudio della sproporzione. Facendo un altro giro di vite: le donne Hulk non avevano diritto a esistere, mentre gli uomini sì.
Nel 2016 qualcuna ci mise la faccia. Irene Anderson, pro IFBB (International Federation of BodyBuilding & Fitness, ndr) di origine svedese, una vichinga dai deltoidi di pietra, diventò la protagonista di Too big for the world, un docu-film uscito quell’anno con lo scopo di tratteggiare un lungo viaggio nel mondo del BB femminile. Fu lei a sollevare il problema della chiusura del Ms. Olympia e del Miss Internationals, lei che voleva riprendere a gareggiare nella sua categoria prima di compiere cinquant’anni.
Nel documentario, a un certo punto è un colosso seduto frontale alla telecamera e si rivolge direttamente a Mister Swarzenegger:
Sono Irene Andersen, una body builder professionista, nata in Europa, come te e, come te, ho sempre creduto nel sogno americano. Ho seguito il mio sogno negli ultimi trentacinque anni, perché volevo diventare la migliore body builder del mondo.
Sì, lo stesso sogno che avevi tu. Le due competizioni a cui sognavo di partecipare erano Miss Olympia e la tua competizione Miss International Classic. Ma questo non è mai successo perché tu hai permesso che donne body builder fossero fermate.
Tu, la persona più importante nel body building, hai negato a noi donne la possibilità di seguire i nostri sogni e di essere chi volevamo essere, mi chiedo perché.
Perché hai sostituito le donne body builder con i bikini e la pole dance? Perché il body building è solo per uomini? Solo gli uomini possono rincorrere questo sogno? Forse hai paura di una donna grossa muscolosa? Non lo so. Pensi di essere meno uomo se sono più grossa di te? Non è così.
Mi piaci e ti rispetto così come sei. Tutto quello che chiedo in cambio è di rispettare il mio sogno e quello di noi donne muscolose, e di non lottare contro di noi per cercare di zittirci.
Un’altra cosa che venne fuori nel docu-film era che la competizione al femminile aveva sempre avuto un montepremi irrisorio rispetto a quella maschile e, nel tempo, si era vista decurtare anche di più il valore economico delle medaglie. Quando a Lenda Murray venne annunciato che il primo posto sarebbe stato un assegno più basso rispetto a quello dell’anno precedente, rispose: “Se è così, io non partecipo”.
Alla fine nel 2020 viene reintrodotta la categoria Body Building per Ms. Olympia. Era inevitabile. È un periodo di riconfigurazione del concetto di normalità, non più stigmatizzata da un valore medio livellante ma ottenuta attraverso la compresenza simultanea del multiforme. Questo è il momento in cui la stessa narrazione dei corpi svincola l’appartenenza al genere e mentre siamo alle prese col tentativo di abituare a de-classificare gli individui e a lasciare che ognuno abbia la possibilità di avere una personale versione di sé, e che si senta comunque incluso, rappresentato, esistente, anche i corpi ibridi delle body builder dovevano trovare un posto.
Quindi, esattamente come gli uomini, le donne maciste, da due anni a questa parte sono tornate a calcare le scene. Finalmente possono esibire il risultato ottenuto con tanta dedizione. Fanno scena sulla pedana, lucidate al mallo di noce, dure e stagne, le cosce enormi, le vene a rilievo, i distretti muscolari asciugati, i pettorali gonfi al posto dei seni, i glutei marmorei, l’apertura alare del busto, fiere e sorridenti. In testa hanno parrucche che riproducono capelli fluenti da bambola versione bionda mora rossa. A volte le extension arrivano fino alla vita, così, quando devono mostrare l’enormità della catena di muscoli che hanno costruito sulla loro schiena, si voltano e con fare civettuolo spostano la tenda di capelli sul gradino del trapezio. Nella posa doppio bicipite frontale, sopra le nocche delle mani hanno degli zirconi che, assieme allo smalto dato sulle unghie lunghe ricostruite in microresina, luccicano a distanza. Il volto scavato e indurito dal dimagrimento viene decorato con ciglia finte e un bel po’ di kajal sulle palpebre. Stanno lì, statuarie, colossali e posano: scalze.
Solo che, mentre Big Ramy – il gigantesco egiziano che ha vinto quest’anno il primo premio di Mr. Olympia – si è beccato 400.000 dollari (al secondo posto sono andati 150.000 dollari, al terzo 100.000, al quarto 45.000, al quinto 40.000, e via di seguito in discesa con men’s physique primo posto 35.0000, secondo 12.000, terzo 8.0000, quarto 4.000, quinto 2.000), ad Andrea Shaw, vincitrice per la seconda volta di Ms. Olympia, hanno staccato un assegno da 50.000 dollari (la stessa cifra è andata al primo posto nella categoria bikini, la seconda classificata ha preso 20.000, la terza 12.000, la quarta 7.000 e la quinta 6.000. Stessa cosa più o meno per le Wellness, le Figure Olympia, e le Women’s fitness Olympia).
400.000 dollari contro 50.000.
Dettagli.
Francesca Marzia Esposito vive e lavora Milano, si è laureata al DAMS di Bologna, ha conseguito un Master in Scrittura per il Cinema all'Università Cattolica di Milano. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su: Granta, 'tina, Colla, GQ e altre riviste. Ha esordito con "La forma minima della felicità" edito da Baldini&Castoldi 2015, il suo secondo romanzo è "Corpi di ballo", Mondadori, 2019.
Velocissime. Un podcast di Storie Avvolgibili sulle donne della velocità
La velocità è rimasta per decenni schiava di un immaginario tipicamente maschile e le donne che si sono avvicinate a questo mondo sono state guardate con sospetto, se non addirittura con timore, relegate ai margini delle piste in ruoli secondari o di complemento.
Al riguardo i numeri sono impietosi: le donne che si sono sedute al volante in oltre 60 anni di Formula 1 si contano sulle dita di una sola mano.
5 come Maria Antonietta Avanzo, Eliska Junková, Maria Teresa De Filippis, Ada Pace, Lella Lombardi.
Velocissime racconta le loro storie che 🎧 potete ascoltare su tutte le piattaforme e qui 👇🏻
https://www.storieavvolgibili.it/podcast/velocissime/
Due o tre cose che abbiamo letto in giro in queste ultime settimane
Pianeta Scherma ha ripreso un'intervista video che la fiorettista francese Ysaora Thibus ha rilasciato al magazine Blonde. Medaglia d'argento a squadre a Tokyo 2020, la schermitrice si è aperta non tanto sulla soddisfazione della vittoria, quanto sulle ombre della sconfitta individuale, che in quei giorni l'ha spinta a chiedere aiuto a una psicologa messa a disposizione dal comitato olimpico. Thibus è la fondatrice di EssentiElle, un progetto che ambisce ad amplificare la voce delle atlete di tutto il mondo attraverso i social media (Olga Campofreda).
Alexia Putellas è la centrocampista offensiva del Barça nonché la terza calciatrice ad esser stata insignita del Balon d’Or. Un pezzo di Elena Marinelli su Ultimo Uomo dal titolo “La realizzazione di Alexia Putellas” ci racconta chi è Alexia e come è arrivata ad ottenere il premio individuale più importante per una calciatrice. Eccone un estratto:
“Il 29 novembre verso tarda sera, mentre realizza di avere vinto il Pallone d’Oro sull’aereo che sta tornando a Siviglia al ritiro della Nazionale, le fanno una fotografia: Alexia è felice, orgogliosa e si accorge di quanto quel globo luccichi. Ci si specchia, lo tiene in mano come altre volte altri trofei ma fa un pensiero per la prima volta: ci saranno pochissime calciatrici che proveranno la medesima gioia e prima di lei è toccato solo Ada Hegerberg e Megan Rapinoe, un binomio piccolo rispetto al movimento intero del calcio femminile. Il suo idolo, Louisa Nécib, non lo ha mai vinto.
La superficie dorata che sta toccando ha un valore nuovo. Nessuna di loro rappresenta le altre in senso quantitativo, eppure da quel momento tutte e tre condividono una sensazione tattile, un peso, un filo rosso che non potrà essere tradito.
Il successo, forse pensa Alexia, a volte è elitario, cuce dei confini precisi, si veste di lustrini e paillettes, anche per una calciatrice. Persino per una calciatrice.”
In occasione del Pallone d’Oro abbiamo registrato una puntata di Goleadora che racconta in che modo si svolge l’elezione della calciatrice più forte dell’anno – è un processo segretissimo. Abbiamo poi messo a confronto i tre discorsi con cui Ada Hegerberg, Megan Rapinoe e Alexia hanno ritirato il premio sul palco del gala. Ne è venuto fuori un quadro interessante che ci suggerisce come le calciatrici siano ancora un pochino indietro rispetto ai calciatori per quanto riguarda la civetteria da mettere in campo quando si sale su un palco importante a ritirare un premio (eccettuata Megan Rapinoe, ovviamente!).
La puntata potete ascoltarla qui:
Una foto che ci è piaciuta questo mese
A proposito di donne velocissime e di compleanni ecco come noi prendiamo commiato da Joan Didion.
«Che ne pensi» Maria sentì dire da uno degli uomini. Stava sforzandosi di mangiare un egg roll al Sands, e i due uomini e la ragazza non le avevano tolto gli occhi di dosso da quando si era seduta. «A proposito di cosa», disse la ragazza. «Di quella». La ragazza si strinse nelle spalle. «Forse». L'altro uomo disse qualcosa che Maria non udì e quando tornò a levare lo sguardo la ragazza stava ancora osservando. «Trentasei», disse la ragazza. «Trentasei portati bene, però».
Prendila così, Joan Didion, ed. Il Saggiatore
E un video
La shopper di Zarina
È tempo di tirare le somme. Da giugno ad oggi sono state vendute 32 shopper di Zarina. Con questi 256 Euro ci abbiamo comprato un microfono per registrare Goladora (il podcast di Zarina sul calcio femminile parlato da Giorgia ed Elena che se non hai ascoltato ti consigliamo di ascoltare) e ci abbiamo pagato i 7 Euro mensili di abbonamento a Spreaker. Ringraziamo tutte e tutti coloro ci hanno aiutato a realizzare questo progetto divertentissimo e che, a nostro parere, non c’era e aveva bisogno di esserci.
Chi ancora non avesse acquistato la borsina e volesse farlo può comodamente seguire il link al bottone qui sotto:
Un altro anno è giunto al termine. Nel 2022 ci saranno altri pezzi sulle Zarine, altre storie Insta, altri incontri live con noi. Ci sarà anche un libro in uscita (ma per questo Stay Tuned qui), e con esso l’occasione di vederci di persona, di parlare con uno spritz in mano, di farci foto e scambiarci i numeri di telefono per messaggiare su questioni legate allo sport e kit di magliette bellissimi a venire nella prossima stagione.
Se volete però contattarci prima di allora, potete mandare una mail a giorgia@zarinanewsletter.it. Proposte per articoli, commenti, foto, inviti, scambi di idee. Vogliamo tutto.
Ci sentiamo a fine gennaio. Per tutto il resto c’è il nostro canale Instagram
Infine ricorda: #siamotutt*Zarina
E Guten Rutsch1 a tutt*, come dicono i tedeschi.