«Ci sono omosessuali tra gli atleti? [...] «È giusto che i transgender gareggino con le donne?»
Risposte articolate a domande stupide perché noi siamo contro il clickbaiting e ci prendiamo il tempo giusto per riflettere. E poi: ci vediamo al Salone del Libro?
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Bentornat* su Zarina!
finalmente siamo tornate e per giunta con un argomento importantissimo che ha acceso l’opinione pubblica nelle scorse settimane: Ci sono omosessuali tra gli atleti?
Siccome la domanda è stupida ma una risposta articolata non lo è per niente, questa volta per rispondere nella maniera più esaustiva possibile abbiamo chiesto aiuto ad Alessia Tuselli, postdoctoral researcher presso il Centro Studi Interdisciplinari di Genere dell’Università di Trento.
Zarina ormai lo saprete è un progetto in crescita che parla di sport femminile e di tutte le sue diramazioni. Se volete potete scegliere di sostenerlo con una donazione ricorrente e mensile oppure con una donazione una tantum che potete fare qui:
Se ti va di sapere meglio cosa è Zarina e perché esiste e nei prossimi giorni sarai anche tu al Salone del Libro, passa a conoscermi (hey! io sono Giorgia) alla sala Olimpica domenica 22 maggio alle ore 16:30. Mi trovi lì con altre persone a parlare de “Le forme del racconto dello sport femminile tra scrittura, comunicazione e narrazione”.
Detto questo siamo quasi pronte a partire, prima ancora un attimo di pazienza per una comunicazione bella:
In vista della finale di Champions League che si giocherà sabato 21 maggio alle ore 19 all’Allianz Stadium, noi di GOLEADORA siamo state invitate ad un DAZN Talk sul canale Twicht di DAZN italia. Principalmente abbiamo dialogato con Marta Carissimi di Lione e Barcellona in modo da poterci avvicinare alla finale con qualche informazione in più. Il link alla puntata ve lo lascio qui
Fine dello sbrodolamento, passiamo alla Zarina di oggi.
Di cosa parliamo quando parliamo di orientamento sessuale e/o di identità di genere nell’universo sportivo
di Alessia Tuselli
«Ci sono omosessuali tra gli atleti?»
«Tra le donne qualcuna sì. Tra gli uomini direi di no. Devono gettarsi giù dalla Streif1 di Kitz.»
«È giusto che i transgender gareggino con le donne?»
«A livello di sport, un uomo che si trasforma in donna ha caratteristiche fisiche, anche a livello ormonale, che consentono di spingere di più. Non credo allora che sia giusto».
Queste dichiarazioni della sciatrice italiana Sofia Goggia, rilasciate durante una lunga intervista per il Corriere della Sera, hanno generato un acceso dibattito nelle ultime settimane.
I quesiti toccano due temi complessi, soprattutto se declinati nel paradigma sportivo: orientamento sessuale di atlet3; accesso delle donne trans nelle categorie femminili all’interno delle competizioni agonistiche. Goggia ha espresso due opinioni: una stereotipica rispetto all’omosessualità maschile, per cui gli uomini gay non sarebbero abbastanza “uomini”, coraggiosi, forti, per buttarsi giù dalla Streif di Kitz; l’altra che parte da considerazioni essenzialiste e deterministe (gli uomini sono fatti in un preciso modo, le donne in un altro) per trasformarsi in un’affermazione transfobica ed escludente.
L’intervista e il dibattito che ne è scaturito offrono l’opportunità per interrogarci: quando parliamo di orientamento sessuale e/o di identità di genere nell’universo sportivo, di cosa parliamo? O meglio, ne parliamo davvero?
Sport e orientamento sessuale
Lo sport contemporaneo ci racconta una storia di progressi lenti ma tangibili in termini di riconoscimento e visibilità di atlet3 lesbiche, gay e bisessuali (LGB). Sono in aumento i casi di coming out e lo testimoniano gli ultimi giochi olimpici, dove il tuffatore Tom Daley, ad esempio, ha messo al centro la questione della discriminazione per le persone LGB nello sport, sottolineando come da giovane pensava di non poter avere una carriera sportiva a causa della sua omosessualità. La judoka Alice Bellandi ha parlato del ruolo della sua compagna Chiara nel percorso che l’ha portata alle Olimpiadi. O ancora lo storico coming out del calciatore australiano Josh Cavallo qualche mese dopo i Giochi, in un video pubblicato poi sui canali social del suo club, in cui rappresenta la stanchezza di vivere una doppia vita, dentro e fuori dal calcio.
I significati che quest3 atlet3 incarnano nella scelta di rendere visibile il proprio orientamento sessuale e l’accento sui processi di esclusione e discriminazione che subiscono, ci suggeriscono come lo sport sia uno spazio che conosce sentimenti omofobi. L’universo sportivo infatti segue un principio di “eterosessualità obbligatoria”, dove c’è un solo orientamento sessuale possibile, accettabile e dove l’omofobia si manifesta anche attraverso il silenzio e la negazione.
I ragazzi, gli uomini, come atleti, devono rappresentare «veramente» cosa vuol dire essere uomo/maschio, in opposizione a cosa vuol dire essere femminile o gay. Una dimostrazione continua tanto della propria mascolinità, quanto della propria eterosessualità, come sottolineano anche i linguaggi con cui i ragazzi/uomini si riferiscono gli uni agli altri: “f**ocio”, “c**cca” apostrofano comportamenti considerati non sufficientemente virili. Le ragazze, le donne, invece, quando praticano attività sportive non considerate conformi al proprio genere, sport definiti come maschili (gli sport di contatto ad esempio), vengono apostrofate spesso come lesbiche e per smentire questa etichetta sono chiamate a sottolineare la propria “femminilità” ed eterosessualità attraverso pratiche di iper-femminilizzazione del proprio aspetto.
Non c’è nessun dubbio, quindi, sul posizionamento che devono avere atleti e atlete: l’equazione atleta-maschilità-eterosessualità è imposta, obbligatoria; mentre per le donne, atleta-femminilità-eterosessualità è un interrogativo, anche se quasi mai verbalizzato. È stato sottolineato come la cultura sportiva, infatti, sia “intrinsecamente omofoba” (come affermato da S. Shaw in un suo studio del 2019), imperniata su consolidati stereotipi di genere, nonostante questa stessa cultura porti avanti istanze di inclusione e opportunità.
L’obiettivo dovrebbe essere un cambiamento all’interno della cultura sportiva, decostruendo stereotipi e pregiudizi di genere che sono anticamera di sentimenti omofobici. Campagne di comunicazione, regolamenti che tutelino la dignità di atleti e atlete, messaggi che prendano le distanze dalle rappresentazioni offerte da Goggia sono azioni che la governance dello sport deve adottare per avviare un reale.
Alla stessa matrice di pregiudizio è legato il discorso relativo all’identità di genere nello sport, anche se con connotazioni diverse. In questo caso, non si parla soltanto della necessità di un ambiente sportivo inclusivo, ma della possibilità di accedere a quello stesso ambiente.
Sport e identità di genere
Quando lo sport incontra l’identità di genere, in particolare le esperienze trans, la prima obiezione è sempre la stessa, quella espressa da Silvia Goggia “un uomo che si trasforma in donna ha caratteristiche fisiche, anche a livello ormonale, che consentono di spingere di più”.
A causa di un presunto vantaggio competitivo rispetto alle altre atlete, un’atleta trans non dovrebbe partecipare alle competizioni.
Intanto è importante notare come si fa esclusivamente riferimento alle donne trans (persona che è stata assegnata al genere maschile alla nascita) e non agli uomini trans (persona che è stata assegnata al genere femminile alla nascita), perché a questi ultimi non viene riconosciuto alcun vantaggio competitivo. Per calcolare questo presunto vantaggio, si chiamano in causa le caratteristiche fisiche e l’assetto ormonale di uomini e donne. Anche il CIO (Comitato Olimpico Internazionale), dal 2015 fino allo scorso anno (2021), aveva inserito uno specifico riferimento agli assetti ormonali all’interno del documento che regolamentava l’accesso delle atlete trans alle gare. In particolare, il riferimento era ad un unico ormone, il testosterone: le atlete trans dovevo dimostrare di avere un livello di testosterone nel sangue inferiore alle 10 nanomole per litro per i 12 mesi precedenti alla competizione e doveva rimanere tale per tutto il periodo di eleggibilità nella categoria femminile.
Il testosterone è un ormone prodotto da tutti i corpi umani, in quantità diverse, e non solo fra uomini e donne. Non si può considerare quindi un ormone esclusivamente maschile. La scienza ha ampiamente dimostrato come sia sbagliato considerare questo ormone come unico responsabile di un miglioramento delle performance atletiche, dell’aumento della forza e della resistenza. La performance sportiva è il risultato di un insieme di fattori: fisici, emotivi, di condizionamento attraverso la preparazione, l’alimentazione, l’integrazione, il recupero, uno staff medico capace di far arrivare l’atleta al top della condizione, quindi anche sociali. Senza contare le atlete trans spesso assumono un inibitore di testosterone insieme ad una somministrazione di estrogeni. Stabilire un unico ormone come passaggio a livello per l’accesso alle competizioni è un approccio problematico, che appiattisce e semplifica meccanismi biomedici molto complessi in ogni corpo, non solo in quello delle persone trans. Questo tipo di policy ha causato vicende spiacevoli e discriminatorie, anche ad atlete non trans, ma intersex come la mezzofondista sudafricana Caster Semenya.
Un ampio dibattito internazionale sul tema, che ha unito questioni mediche, scientifiche, sportive, giuridiche, di diritti umani, ha portato il CIO a rivedere il suo regolamento nel 2021 (che ricordiamo, come il precedente, non essere vincolante per le federazioni sportive), eliminando ogni riferimento biometrico, con la consapevolezza che questo fosse un criterio riduttivo, che obbligava spesso trattamenti medici su corpi sani.
Nel nuovo regolamento atlet3 dovranno essere ammessi alle competizioni nella categoria che meglio risponde alla loro identità di genere autodeterminata. Ancora, i criteri per stabilire eventuali sproporzioni di vantaggio competitivo potrebbero richiedere “a volte”, recita il documento, un test sulla “performance” e “la capacità dell'atleta”. Non ci sono maggiori specifiche però su cosa si intenda per “test della performance” ed entro quali parametri debba essere misurata. Le nuove regole guardano anche alla formazione dell’ambiente sportivo su questi temi, alla non discriminazione, all’autodeterminazione di genere e dovrebbero diventare operative a partire dall’Olimpiade di Parigi 2024. Rimane l’incognita della risposta delle federazioni, se vi aderiranno o meno, visto che non ci sono ancora state dichiarazioni in questo senso.
I pregiudizi, gli stereotipi di genere e omofobici che caratterizzano la cultura sportiva si legano alle altre dimensioni identitarie proprie di atlete e atleti, come l’identità di genere. Le persone trans, in particolare le donne trans, hanno diversi ostacoli e non poche barriere nella pratica sportiva, che impediscono loro di continuare a svolgere il proprio lavoro. Per queste soggettività ci sono importanti problemi di riconoscimento, partecipazione, accesso e di linguaggio transfobico, come abbiamo visto.
Oggi invece, sulla spinta di una diversa sensibilità sociale, l’universo sportivo deve interrogarsi su quali siano i modi per garantire l’inclusione di tuttǝ, la parità di accesso, oltre all’equilibrio competitivo. Lo sport sta ancora cercando le risposte, in termini di policy, regolamenti, cambiamenti di una cultura sportiva che non può più parlare al tempo passato, con categorie che non raccontano più la società in cui viviamo né le identità che la abitano.
Sicuramente c’è un’ampia responsabilità istituzionale in questo senso, ma non si può né si deve dimenticare che gli atleti e le atlete hanno un ruolo nel processo di cambiamento: sarebbe importante costruire una maggiore consapevolezza sui temi come quelli dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Come sarebbe importante che atleti e atlete con una maggiore visibilità pubblica imparassero a chiedersi se hanno conoscenza dei temi trattati, o ancora quali conseguenze potrebbero avere le loro dichiarazioni, in un mondo sportivo che, come il resto della società, è già omotransfobico. Spesso atleti e atlete più espost3 non hanno nulla da perdere, e non si interrogano sul proprio privilegio perché le loro esistenze non sono toccate delle loro stesse parole stereotipiche e discriminatorie.
Se foste uno sciatore adolescente, o poco post-adolescente, gay o bisessuale, che sogna di vincere quanto Sofia Goggia, come vi sentireste leggendo le sue parole?
Alessia Tuselli è postdoctoral researcher presso il Centro Studi Interdisciplinari di Genere, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento. Da diversi anni si occupa di questioni legate agli studi di genere, osservando come il genere influenzi la società e le relazioni di potere, in diversi spazi sociali. Tra i suoi interessi di ricerca: genere e sport, genere ed educazione, violenza di genere; diversity&inclusion; questioni LGBTQI+. Dal 2014 è formatrice per percorsi di educazione/formazione alle differenze di genere destinati a studenti, docenti e formatorǝ.
pista per la discesa libera di sci di Hahnenkamm a Kitzbühel in Austria, uno dei tracciati più famosi e difficoltosi al mondo, scenario di terribili incidenti di alcuni sciatori
Hey! Questo è Velata, un saggio sullo sport femminile che ho scritto io!
Lo puoi ordinare qui (e leggere anche di che cosa tratta) e se ti va ci posso pure scrivere qualcosa dentro:
Io e Sumaya Abdel Qader lo presentiamo al Salone del libro giovedì 19 maggio, ore 16:30 Sala Olimpica. Che fai, vieni?
Incontriamoci
!!! A BREVISSIMO: Salone del Libro Torino, giovedì 19 maggio, ore 11:00 Sala Olimpica: panel “Calcio femminile, difficoltà e conquiste” presento il libro “Jo la fuoriclasse” di e con Martina Wildner ed edito da La Nuova Frontiera
!!! A BREVISSIMO: Salone del Libro Torino, giovedì 19 maggio, ore 16:30 Sala Olimpica: Giorgia Bernardini in dialogo con Sumaya Abdel Qader presentano “Velata. Hijab, sport e autodeterminazione”
!!! A BREVISSIMO: Allianz Stadium Torino, sabato 21 maggio, ore 19:00 Finale Champions League: Barcelona VS Olympique Lyon.
!!! A BREVISSIMO: Salone del Libro Torino, domenica 22 maggio, ore 16:30 Sala Olimpica: Le forme del racconto dello sport femminile tra scrittura, comunicazione e narrazione, con Federica Botteon, Dario Costa e Federica Pecis. Modera Elena Marinelli.
Giove Women Strenght Games Terni, sabato 28 maggio, ore 14:00 Impianti Sportivi: Presentazione di “Velata, Hijab, sport e autodeterminazione”.
No Border Cup 2022 Centro Sportivo Pizzoli di Bologna, giovedì 9 giugno, ore TBD: Dialogo sullo sport e presenzatazione di “Velata, Hijab, sport e autodeterminazione”.
E anche per oggi è tutto da Zarina. Ringraziamo Alessia Tuselli per il suo contributo prezioso e ci sentiamo prestissimo.
Se ti va di contattare Zarina per qualsiasi motivo oppure per parlare di VELATA, basta che mandi una mail a giorgia@zarinanewsletter.it
Per oggi è tutto ma ricorda che #siamotutt*Zarina
PS: l’immagine di copertina di Brittney Griner appartiene a Sky Sport Italia
Infine lo ricordiamo anche qui: