Bentornat* a Zarina, la newsletter talmente sportiva che si rincorre da sola.Â
A questo punto ci sembra evidente che Zarina esce un po' quando le pare. I tentativi di puntualità non ce la stanno facendo a restare a regime però, anche se alla fine smarginiamo di mese in mese, cerchiamo comunque di uscire una volta ogni trenta giorni. Pregate con noi.Â
La realtà che si sta profilando su questa newsletter supera di gran lunga le aspettative iniziali del progetto. C'è stato un momento in cui Zarina era un ballottaggio che stavamo facendo per mail – la chiamiamo così? La facciamo uscire ogni quanto? etc.– e invece oggi abbiamo un progetto che ha lasciato le caselle di posta elettronica ed è arrivata a raggiungere il pubblico tramite interviste radio e post di Instagram a cui il pubblico reagisce con entusiasmo. E questo ci dà le energie per andare avanti e continuare a scrivere e a rompere le palle a chi ignora lo sport femminile.Â
Quello di oggi è un numero speciale. Intanto perché Elena Vaiani torna a scrivere per Zarina. E per quanto mi riguarda Elena è una delle persone che mi è stata accanto quando ho ponderato l'idea di mettere su qualcosa che avesse a che fare con lo sport femminile, e invece di dirmi: «ma sei matta, chi te lo fa fare?», mi ha supportato e ha buttato giù il primo vero long form su Zarina che poi abbiamo rinominato Numero Zero (lo potete rileggere QUI).Â
E poi perché, come avrete notato, il numero di oggi è rubricato sotto il titolo Zarine in love e questo è il primo di una serie di speciali che abbiamo deciso di fare uscire a scadenza variabile (vale a dire: quando ci va) e che ha a che fare con le storie d'amore che nascono fra quelle che noi chiamiamo Zarine: tutte le ragazze affascinanti che indossano una tuta da ginnastica.
Abbiamo scelto una serie di coppie di sportive fantastiche e ve le racconteremo una per una. Non perché noi si abbia un particolare gusto per il gossip, ma perché ci interessa raccontarvi come nascono queste storie, e che cosa succede quando due Zarine si incontrano e decidono di compiere un tratto della loro vita in compagnia l'una dell'altra.Â
Le Zarine in love di oggi sono Sue Bird e Megan Rapinoe. Se forse la prima non è nota ai più (e fra poco scoprirete chi è), la seconda non ha certo bisogno di molte presentazioni. Capitano della nazionale di calcio USA, attuale campionessa del mondo, Pallone d'oro e attivista per i diritti civili, è una donna che affronta ogni sfida della vita con fervente passione. Sue e Megan sono l'unione degli opposti, la riservatezza che incontra e si sposa con un ego multiforme e performativo. Sono una coppia amatissima anche al di fuori dello sport. Insieme stanno spostando opinioni pubbliche, ma il modo in cui si sono conosciute è un semplice scambio di messaggi per telefono.
Ci ricorda qualcosa? Certo che sì, ci ricorda molte delle nostre personali storie d'amore.
Le due Zarine che si tengono per mano le ha disegnate Francesco Gulina e ce le ha donate.
Un gesto da mecenate che gli è valso il titolo di primo Zarino della nostra storia.Â
Infine, siete sempre più numerosi.
Abbracciamo e ringraziamo ognuno di voi per il tempo che ci dedicate.
Se avete domande o richieste o idee scriveteci a zarinanewsletter@gmail.com
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INIZIAMO
Testo di Elena Vaiani
Alcuni anni fa mi trovai a parlare della nazionale di basket femminile americana con alcune ragazze che allenavo. Eravamo tutte d’accordo sul fatto che quello fosse un Dream Team, una vera a propria squadra da sogno senza eguali nel mondo. Proprio in quei giorni la squadra aveva appena vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino 2008. Ma nonostante tutto quel talento ero rimasta impressionata da una sola giocatrice e ricordo che al momento di dire il suo nome, le ragazze, con mia sorpresa, lo fecero in coro con me: «Sue Bird», dicemmo. Una playmaker che giocava a pallacanestro con una precisione e una leggerezza pari a quella di una pattinatrice sul ghiaccio. Certo, delle altre rimanevano i canestri e i punti che contavano, ma i movimenti che si guardavano e ricordavano erano i suoi.
   Come di consuetudine per molte giocatrici professioniste americane, anche Sue Bird per anni ha giocato in Europa in inverno (in Russia, a Mosca ed Ekaterinburg, vincendo diversi titoli nazionali) e in estate nella WNBA. Difende i colori delle Seattle Storm (tre titoli per lei) dal 2002; un caso di fedeltà , questo, più unico che raro nello sport di squadra. Bird, classe 1980, resta una delle giocatrici più forti in circolazione e negli anni è diventata una leggenda del basket femminile (quattro titoli mondiali e quattro ori olimpici per lei), oltre che un modello di dedizione e longevità sportiva. Una leader silenziosa, riservata, affascinante.
Insomma: una di quelle giocatrici che vorresti essere. Sarebbe bastato già questo a consacrarla una fra le sportive più amate degli Stati Uniti. Eppure la sua vita – fino a quel momento interamente dedicata allo sport – sarebbe stata sconvolta prima da un suo infortunio e poi segnata da una sconfitta epocale di un’altra squadra femminile.
In occasione delle Olimpiadi di Rio del 2016 la nazionale di pallacanestro femminile statunitense poteva schierare ancora una volta una squadra con numerosi fenomeni (tra cui Diana Taurasi, Maya Moore e Brittney Griner). E sebbene coach Geno Auriemma potesse permettersi il lusso di far partire dalla panchina l’italo-americana Elena Delle Donne, secondo me la giocatrice più talentuosa di quegli anni, al contrario Sue Bird, allora già trentaseienne, era ancora inamovibile dallo starting five, il quintetto di partenza, di cui continuava ad occupare saldamente il posto dall’edizione dei giochi olimpici di Pechino del 2008.
Come di consueto la nazionale USA era in totale dominio del torneo; le ragazze infatti erano arrivate a quella edizione con il titolo di campionesse in carica e senza sconfitte da più di vent’anni, (cioè ben cinque edizioni olimpiche – per trovare una partita persa bisogna tornare a Barcellona 1992). Come al solito la prestazione di Sue Bird fino a quel momento si era rivelata impeccabile. La playmaker americana aveva continuato indisturbata a distribuire assist per le compagne fino ai quarti di finale contro il Giappone. Ma fu durante questa partita che Bird si infortunò al ginocchio ed uscì definitivamente dal campo.
L’infortunio sembrò piuttosto grave, tuttavia ci si preoccupò più per la carriera di Bird, già in età abbastanza avanzata, che non per la squadra, che aveva una panchina talmente lunga da poter supplire senza la benché minima difficoltà all’assenza forzata della playmaker titolare. Infatti il team USA proseguì il cammino olimpico sconfiggendo senza problemi il Giappone prima, e poi la Francia in semifinale, ma fuori dal campo l’ambiente sportivo americano mostrò apprensione per la situazione di salute di Sue Bird. La giocatrice era amata dal suo pubblico e supportata in tutti i modi, e come ci si può immaginare il suo telefono cominciò a riempirsi di messaggi di sostegno.  Â
Mentre le stelle del basket continuavano il loro percorso di Rio 2016 indisturbate, c’era un’altra nazionale americana femminile che puntava alla medaglia d’oro. Un’altra squadra ricca di atlete fortissime, che però non riusciva davvero ad entrare nel vivo della competizione. E dopo una serie di partite mediocri le talentuose undici del calcio femminile interruppero il loro cammino olimpico con una brutta ed inattesa sconfitta contro la Svezia proprio pochi giorni prima della partita in cui Sue Bird si era infortunata. Una delusione storica perché anche per le calciatrici il ricordo della sconfitta più recente risaliva alla notte dei tempi. Per trovare l’ultima partita persa si doveva risalire alla finale per l’oro di Sydney 2000.
Dopo sedici anni di vittorie consecutive la partita contro la Svezia provocò nel pubblico e nelle giocatrici una delusione bruciante. A dire il vero nessuna delle calciatrici si sarebbe aspettata di avere a disposizione tutto quel tempo libero. I pronostici erano stati altri. Ma nonostante questo una parte del team era rientrato a casa, mentre un’altra parte era rimasta in Brasile per assistere e tifare i connazionali che avrebbero continuato il loro cammino olimpico.
Ecco perché Megan Rapinoe, una delle giocatrici della nazionale di calcio, si trovava sugli spalti durante quel quarto di finale contro il Giappone, ed ecco perché quella stessa sera Megan inviò un messaggio di sostegno a Sue Bird. Â
Come aveva avuto il suo numero? Megan e Sue giocavano entrambe a Seattle, ma non si erano mai conosciute. Avevano però lo stesso agente e si erano viste per la prima volta ad un evento pre-olimpico. Megan racconta che il suo primo saluto a Sue fu qualcosa di disastroso, ma le due ebbero ulteriori contatti successivamente, in occasioni comuni. Così Megan aveva cominciato a mandare messaggi a Sue, e durante le Olimpiadi di Rio era andata a vedere tutte le sue partite. Megan era lì anche quando Sue Bird scese di nuovo in campo, guarita a tempo di record dopo l’infortunio, giusto per portare gli Stati Uniti a vincere l’oro in finale contro la Spagna.
Più dell’attesa medaglia d’oro delle cestiste però, nello sport americano di quei giorni fece notizia ciò che accadde poco dopo la fine dei giochi olimpici. In quel mese di agosto intenso un giocatore di football compì un gesto che cambiò la storia dello sport mondiale. In segno di protesta contro la brutalità e le ingiustizie della polizia nei confronti dei cittadini afroamericani, Colin Kaepernick, giocatore di football delle file dei San Francisco 49ers, si inginocchiò sull’erba durante l’inno nazionale suonato in una partita di pre-season del suo club. Kaepernick era solito a dimostrazioni di questo tipo, ma in quell’occasione spiegò che non poteva essere orgoglioso della bandiera di uno Stato che opprimeva le persone di colore come lui. Il suo gesto di opposizione fu interpretato dai più come un atto narcisistico che esulava dai doveri di uno sportivo professionista. Una dimostrazione di stanchezza per un atteggiamento cronico nei confronti degli afroamericani che è costato a Kaepernick una intera carriera sportiva da professionista, da quel momento nessun club gli ha mai più offerto un contratto .
Certo gli sarà costato un’intera carriera sportiva, ma l’immagine di Kaepernick in ginocchio è indelebile, iconica. Se c’è un modo pacifico per uno sportivo di dimostrare dissenso, questo diventa inginocchiarsi sull’erba, sul parquet, o su qualsiasi superficie mentre l’inno continua a suonare testardo. E non trascorreranno molti giorni affinché un segnale forte di dissenso arrivi anche dal mondo dello sport femminile. La prima donna bianca ad inginocchiarsi durante l’inno nazionale americano in segno di solidarietà per Colin è Megan Rapinoe, il cui gesto in qualche modo fa ancora più scalpore.
Rapinoe infatti porta l’atto alle estreme conseguenze e sceglie di compierlo non prima di una partita di club, con indosso una maglia di una squadra privata, ma in occasione di un’amichevole (contro la Thailandia) giocata con la nazionale maggiore. Un segnale fortissimo che ha una risonanza mediatica ancora più potente. Talmente potente da raggiungere persino Sue Bird che continuerà con Megan Rapinoe quel dialogo iniziato durante il suo infortunio alle olimpiadi in Brasile.
Megan, continuamente esposta sui media per battaglie sociali (l’inclusione nella società delle persone gay e di colore, la parità di salario tra uomini e donne nello sport e non) e la timida, riservata Sue hanno in realtà molto in comune (just sort of clicked, «abbiamo fatto click», dirà Megan) e cominciano ad uscire insieme, ma con una certa discrezione. Perché a differenza di Megan, Sue non ha mai parlato pubblicamente della propria omosessualità .
Sue infatti ha dichiarato che se il problema della NBA riguarda sostanzialmente il razzismo, quello della WNBA sono il razzismo e i problemi di genere. E anche se molte sono le donne che si sono dichiarate gay nel basket e nello sport in generale, al contrario degli uomini, su cui evidentemente agiscono pregiudizi e pressioni sociali molto maggiori rispetto alle donne, tanto restava, e resta, da fare. Anche in un ambiente ricco e attualmente politicizzato come la WNBA il coming out è ancora una notizia che polarizza pubblico e media e decidere di parlare apertamente della propria sessualità è una scelta privata che può influire sulla carriera pubblica delle giocatrici. Un rischio che non tutte sono disposte a prendersi, e non importa se per protezione della sfera privata o se per paura delle conseguenze da pagare.
In un’intervista ad ESPN Sue racconta finalmente tutti i passaggi emotivi attraverso i quali è dovuta transitare prima di arrivare a parlare apertamente della sua sessualità . Già a Rio nel 2016, prima di incontrare Megan, mentre compila un questionario intitolato 25 cose che non sapete di… ammette che al n. 25 avrebbe voluto scrivere: «I’m gay». Avrebbe voluto appunto, ma semplicemente non l’ha fatto. Anche se quelli erano i giorni in cui Elena Delle Donne, durante una delle interviste al campus olimpico, aveva conversato serenamente con un reporter del proprio coming out. Anche il quel caso, ammette Sue Bird, avrebbe potuto parlarne liberamente. «Stavo quasi per dire: sì, non è un granché, sono gay, chi se ne frega. Ecco un altro momento per ammetterlo, ma invece avevo scelto di non dire niente».
Ma il desiderio è già lì.
E le ci vorrà ancora un anno, nel luglio del 2017 in un’intervista a ESPN le parole vengono fuori: «Sono gay. Megan è la mia compagna..questi non sono segreti per le persone che mi conoscono», dice Bird, «Non mi sento come se non avessi vissuto la mia vita. Credo che le persone diano per scontato che se non ne parli, allora lo stai nascondendo, è un segreto. Ma per me non è mai stato così. Sta accadendo adesso perché è adesso che mi sembra opportuno. Quindi anche se capisco che ci sono persone che pensano che avrei dovuto farlo prima, per me le cose non stavano così».
La dichiarazione è cristallina e non lascia spazio a incomprensioni: il motivo del suo silenzio è stato il desiderio di proteggere la sua sfera privata; un atteggiamento all’esatto opposto rispetto al modo pubblico che ha Megan di vivere la sua vita e le sue battaglie. Quando parla di Megan Rapinoe, Sue dice che la sua ragazza ha un modo passionale di dire e vivere le cose e anche se entrambe provano gli stessi sentimenti, alla fine si trovano ad esprimerli in modi opposti.
E la dichiarazione del proprio orientamento sessuale ne è un caso esemplare. Megan ne ha fatto per anni un campo di battaglia, alzando la voce in nome dei diritti delle minoranze, degli omosessuali e delle persone di colore, mentre Sue ha scelto di rimanere in un ambito privato: «ho semplicemente vissuto la mia vita non stando in prima linea», dice Bird ancora nell’intervista a ESPN, «Ma non mi sono mai sentita meno vera per questo».
Le coppie di Zarine dello sport USA sono tante: la compagna di college e nazionale di Sue, Diana Taurasi, ha sposato la cestista australiana Penny Taylor (che molti italiani, tra cui la nostra Giorgia, ricordano anche in Italia, a La Spezia); hanno divorziato invece altre due cestiste, Brittney Griner e Glory Johnson, con addirittura condanna per maltrattamenti a carico della prima, e nel basket sono una coppia anche l’italiana Giorgia Sottana e l’olandese Kim Metsdagh. Nel calcio troviamo due compagne di squadra di Megan, Ali Krieger e Ashlyn Harris, come anche la danese Pernille Harder e la svedese Magdalena Eriksson. Eppure, nonostante i tanti progressi contro la discriminazione dei gay, è piuttosto raro che atleti in attività facciano coming out.
Megan e Sue invece diventano immediatamente la coppia più amata in assoluto dello sport americano, a true power couple, come è stata definita, proprio per l’eccezionale livello delle due atlete, lo status sportivo quasi leggendario di Sue e le continue battaglie sui media di Megan. Diventano un modello per giovani e meno giovani, per uomini e per donne, dal punto di vista sportivo e non. Attraggono media di ogni tipo e compaiono su riviste di sport, di moda, di politica. Per fare qualche esempio, Megan e Sue sono state una delle pochissime coppie e la prima coppia gay in assoluto ad apparire senza veli sulla copertina di The body issue, l’influente rivista dell’emittente ESPN che celebra appunto la perfezione dei corpi degli atleti, e ha come motto every body has a story, ogni corpo ha una storia. Certamente questi due corpi insieme ne raccontano molte.
Che Megan abbia un modo piuttosto passionale di approcciarsi a ciò che non le sta bene è uno degli aspetti che il pubblico ama di più in lei. È una donna che ferve costantemente, dentro e fuori dal campo, compiaciuta di prendere tutto di petto, come se il temperamento esplosivo potesse essere un mezzo di scambio per ottenere qualsiasi cosa. Megan Rapinoe non è interessata a piacere a tutti.
Nel 2019 alla vigilia dei campionati mondiali di calcio femminile, seguitissimi negli USA, Megan aveva dichiarato che non avrebbe cantato l’inno nazionale, sempre per protesta contro la politica americana in tema di razzismo, gender e equal pay. E alzò la posta dicendo che in caso di vittoria dei mondiali non sarebbe mai andata a ricevimento dal presidente. La risposta di Trump arrivò puntuale con un twitter in cui consigliava alla calciatrice intanto di vincere, e di fare il proprio lavoro prima di porsi il problema. E aggiunse che, vittoria o non vittoria, tutta la squadra sarebbe comunque stata invitata.
Certo avere il presidente degli Stati Uniti contro non è una delle esperienze che ci si augura di vivere. In un articolo Sue (So the President F*cking Hates My Girlfriend) racconta di quanto fosse inquietante la sensazione che provava di fronte al fatto che il presidente detestasse la sua ragazza, e insieme a lui tutta una serie di persone che non avevano scrupoli a esprimere il loro odio. «È strano», ha dichiarato Sue a The Players Tribune, «E devo dire di aver avuto una reazione abbastanza standard per questi casi: e cioè ho dato un po’ di testa!». Ma Sue sa bene che qualsiasi cosa accada, Megan resta Megan e «Vi dico una cosa», aggiunge, «Non c’è modo di scuotere quella ragazza. Farà le sue cose e le farà alla sua dannata velocità , al suo ritmo, e non si scuserà mai per nessuna di queste».
Megan è una vincente, e ovviamente gli USA vincono quel campionato mondiale e non solo. Oltre a questo Rapinoe, che di quella squadra era co-capitano insieme a due compagne, vince anche la Scarpa d’Oro (miglior realizzatrice del mondiale, con sei reti, di cui un rigore importantissimo in finale con l’Olanda) e viene premiata come miglior giocatrice sia della finale che di tutti i mondiali.
La polemica con Trump ha reso Megan Rapinoe la sportiva in assoluto più amata dagli americani. Ma che quella notorietà andasse ben oltre i limiti sportivi lo dimostra il discorso tenuto nel giorno della festa per la vittoria, a New York.
Capelli viola, aria guascona, con un atteggiamento arrogante, assertivo, Megan celebrò la resilienza e la diversità della propria squadra: «Abbiamo capelli rosa e capelli viola, abbiamo tatuaggi e dreadlocks. Abbiamo ragazze bianche e ragazze nere, e tutto il resto. Ragazze etero e ragazze gay» e diede compiti per tutti: «Dobbiamo essere migliori. Dobbiamo amare di più, odiare di meno. Dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno. Dobbiamo sapere che questa è una responsabilità di tutti. Di ogni singola persona che è qui, di ogni singola persona che non è qui, di ogni singola persona che non vuole essere qui. Di ogni singola persona che è d'accordo e di chi non è d'accordo. È nostra responsabilità rendere questo mondo un posto migliore (…) Siate di più, siate migliori, siate più grandi di quanto non siate mai state prima. Se questa squadra è il risultato di quello che succede quando lo si fa, per favore prendeteci come esempio».
Un trionfo che portò Megan (e Sue) ad un ulteriore livello di popolarità , mediatica e sportiva (nel dicembre 2019 Megan ha anche vinto il Pallone d’oro). E non è un caso che il candidato democratico Joe Biden si sia schierato con le calciatrici affinché riescano ad ottenere come nazionale un trattamento economico paritario a quello degli uomini.
E, in tempo di lockdown, tra i mille video e articoli, tra cui quello della prestigiosa rivista Forbes, che si possono trovare in rete che raccontano come Megan e Sue abbiano passato la quarantena, si può trovare una conversazione proprio tra Megan e Alexandria Ocasio Cortez, la deputata star dei democratici, che si è allargata fino a diventare un talk show che si intitola addirittura Seeing America with Megan Rapinoe. Nello show, vengono affrontate questioni cruciali per l’America, dalle prossime elezioni (e i principali candidati), al razzismo, alle questioni di genere: l’obiettivo è coinvolgere più persone possibili nell’impegno per cambiare la società americana nella direzione di una maggiore uguaglianza.
Sue e Megan poi, insieme al giocatore di football di Seattle Russell Wilson, sono apparse nello scorso giugno in un video contro il razzismo, in sostegno del movimento Black Lives Matter.
E lo sport? Sue è già tornata in campo con le Seattle Storm, partecipando tra l’altro allo storico sciopero della WNBA sempre in sostegno di Black Lives Matter; Megan ha rifiutato di partecipare al torneo di calcio, come molte atlete della nazionale, perché preoccupata dal Covid-19 e dal calendario troppo compresso che, a suo parere, espone le atlete ad un alto rischio di infortunio.
Quello che Megan e Sue hanno fatto dal punto di vista sociale, ciò che hanno rappresentato per tante persone in cerca di modelli, sportivi e personali, è difficile da sovrastimare.
Forse, ciò che le rende davvero Zarine anche fuori dal campo è proprio il fatto che essere una coppia gay sia diventata l’ultima cosa che viene in mente quando si pensa a loro: vengono prima l’impegno, le battaglie, e gli straordinari successi sportivi. Questa è la vittoria più grande, è il vero passo avanti.
Sono due star appagate e ‘arrivate’ quindi? No.
Sono soprattutto e prima di tutto due sportive che si riconoscono una propria identità attraverso ciò che accade loro dentro un campo. C’è ancora qualcosa che manca, in questa storia, c’è un finale che si può sognare: chiudere il cerchio, tornare insieme dove tutto era iniziato. Alle Olimpiadi, per vincerle insieme. Sono due atlete mature (Megan è nata nel 1985, Sue nel 1980) e il ritardo di un anno di Tokyo 2020 per il Covid-19 rende molto difficile per entrambe la convocazione per il Giappone. Ma stiamo parlando di atlete e partner fuori dal comune, per le quali nessuna sfida è persa in partenza.
A maggior ragione adesso, che si tratta di una sfida che possono affrontare insieme.
1. L'Olimpique Lyon ha vinto l'edizione del 2020 della Champions League femminile. Quella di quest'anno è la quinta coppa europea consecutiva conquistata dal team francese. In campionato la squadra è arrivata al primo posto per tredici anni di fila. Sono numeri impressionanti che rispecchiano l'ottima gestione della società da parte dell'imprenditore che risponde al nome di Jean-Michel Aulas, che sin dal primo momento ha messo a disposizione dei giocatori della squadra maschile e alle giocatrici della squadra femminile gli stessi mezzi economici e le stesse strutture. L'unico articolo approfondito di cui siamo a conoscenza è un pezzo de Il Post e potete leggerlo qui.Â
2. Nella notte fra il 26/27 agosto le quattro squadre (Washington, Atlanta, Los Angels, Minnesota) che stavano per disputare i match del campionato di WNBA hanno deciso di non scendere in campo a sostegno della precendente decisione dei fratelli della NBA di fermare il campionato di basket in seguito alla sparatoria di Jacob Blake. Come di consueto sui media italiani la notizia dello sciopero della WNBA non è stata trattata con il dovuto rispetto ma per quanto ci riguarda l'interruzione del campionato della settimana scorsa è solo la naturale conseguenza della campagna #Sayhername e di un processo iniziato da Maya Moore (ex giocatrice delle Minnesota Lynx) grazie al quale le sportive impiegano la loro voce anche in campo politico e sociale. Su quest'ultimo aspetto qui un bel pezzo di Dario Vismara.
3. Larissa Iapichino a soli 18 anni si è laureata campionessa italiana di salto in lungo con la misura di 6.32. Nello scorso luglio aveva stabilito il record italiano juniores con 6.80, misura che la avvicina al primato assoluto di 7.11 stabilito dalla madre, Fiona May, 22 anni fa. Larissa è in realtà doppia figlia d'arte perché il padre, Gianni Iapichino, è stato un saltatore con l'asta (ex primatista italiano nel 1994 con 5.70). Grazie a questi risultati e con il rinvio delle olimpiadi di un anno, Larissa può adesso sperare di gareggiare a Tokyo 2021.
Gli amici del podcast GLI ELEFANTI ci hanno invitato alla loro rubrica TOP5. Ne è venuta fuori una puntata molto nostalgica in cui racconto dei cinque momenti della mia adolescenza di cui sento nostalgia. Si è parlato di giri in motorino, lunghi pomeriggi in spiaggia a giocare a briscola, delle versioni di greco e degli squilletti al cellulare. Sono venti minuti di ricordi che ci hanno fatto stare bene. La puntata la potete ascoltare qui oppure in tutti gli altri canali in cui si ascolta un podcast.
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