Oggi in Germania si festeggia S. Nikolaus. È usanza che i bambini lucidino tutte le loro scarpe affinché Nikolaus possa riporci dentro un regalo durante la notte e così ieri la mia collega mi ha mostrato una foto della camera da letto di suo figlio che ritraeva una linea di undici paia di sneaker lucidissime e pronte per ospitare doni. È stato in quel preciso istante, ieri sera intorno alle 19.00, che ho capito che ormai ci siamo.
In questa settimana la città si è lentamente modulata in attesa del secondo avvento e io sono passata da una fase di totale indifferenza alla presa di coscienza che i cinque Nikolaus di cioccolato, i tre pacchi di biscotti, e due Glühwein che mi sono stati portati a lavoro ieri sono il segno che ormai siamo in quella fase dell'anno.
E intanto Zarina continua ad ospitare le storie de* nostr* amic* mentre il numero di persone nuove che ci leggono aumenta di settimana in settimana complice anche il fortunato momento mediatico di cui sta godendo lo sport femminile. La settimana che si è appena conclusa porta almeno due notizie importantissime: Sara Gama è stata eletta vice-presidente dell'Associazione calciatori e negli Stati Uniti l'annosa battaglia per l'equal pay iniziata nel 2007 ha compiuto un ulteriore passo in avanti: la lega calcistica americana si impegna con effetto immediato a rimuovere le differenze fra le due squadre della nazionale maschile/femminile sul piano dell’organizzazione dello staff, dei viaggi, dei soggiorni in albergo durante le trasferte e dei luoghi in cui si svolgono gli eventi calcistici. Tuttavia ancora niente di fatto per quanto riguarda la parità di salario. Ma Megan Rapinoe and Co. non mollano, e noi con loro.
Questo è il 2/4 numeri. Gli altri seguiranno ogni domenica ad un orario variabile che dipende principalmente da quando riuscirò ad uscire dal letto.
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Ondina Valla
di Dario Costa
In un paese normale, animato dalla voglia di raccontare il proprio lato migliore, la storia di Trebisonda Valla, detta Ondina, sarebbe patrimonio della memoria collettiva. La storia della prima donna italiana a vincere una medaglia olimpica sarebbe diventata un documentario, un film di successo, magari anche una serie televisiva. E invece, per conoscere le imprese di Ondina è necessario consultare con attenzione vecchi manuali di storia impolverati. Eppure già quel nome, affibbiatole dal padre incantato dall’omonima città turca, contiene in sé il germoglio di un autentico romanzo.
Un romanzo che racconta di una ragazza cresciuta nella Bologna degli anni ’30, roccaforte fascista presidiata da Leandro Arpinati, gerarca e deus-ex-machina dello sport tricolore. E proprio nello sport Valla scopre la passione che caratterizzerà tutta la sua vita. Ondina corre e corre veloce, più veloce di tutte le ragazze che incontra. O meglio, di quasi tutte le ragazze che incontra. A darle del filo da torcere in pista è Claudia Testoni, anche lei atleta dal talento straordinario, che tra le altre cose è concittadina e compagna di scuola di Ondina.
Le due gareggiano, si rincorrono, vincono e diventano, loro malgrado, volti noti utilizzati dalla propaganda fascista. Il regime ha fame di modelli da offrire al popolo, e pazienza se nell’ideale fascista la donna ha un ruolo marginale, secondario, di madre e custode del focolare domestico.
Il momento più alto della parabola di Ondina, il passaggio che la introduce nella storia con la esse maiuscola, arriva in un tardo pomeriggio dell’agosto del 1936 all’Olympiastadion di Berlino, dove i giochi fortemente voluti da Adolf Hitler per celebrare la grandezza del Terzo Reich sono in pieno svolgimento. Quel tardo pomeriggio va in scena la finale degli 80 metri a ostacoli, specialità in cui Ondina eccelle ormai da qualche anno e di cui solo il giorno prima, nella batteria di semifinale, ha stabilito il record mondiale: 11 secondi e 6 centesimi. In finale, come ovvio, c’è anche Claudia, la compagna e rivale di sempre.
La gara è tiratissima, all’arrivo sono in quattro a tagliare il traguardo nello stesso istante. Serve il fotofinish, strumento tecnologico alquanto sofisticato per il tempo e che ha fatto il suo esordio olimpico a Los Angeles quattro anni prima. Un singolo fotogramma divide gioia e disperazione, vittoria e sconfitta: Ondina è medaglia d’oro, Claudia finisce quarta.
Il podio di Berlino, lo stesso da cui Jesse Owens metterà in scacco l’immaginario di purezza ariana ostentato dall’ideologia nazista, sancisce la fine dell’amicizia tra le due ragazze, che dopo quel finale controverso non si parleranno più. Ma, soprattutto, il podio di Berlino cementa la leggenda di Trebisonda Valla, detta Ondina: la prima donna italiana a vincere una medaglia d’oro olimpica, prima di una lunga serie di trionfi a cinque cerchi firmati dalle atlete azzurre.
Dario Costa è nato trentotto giorni dopo Kobe Bryant, è innamorato e scrive di musica e pallacanestro, spesso mescolate insieme.
Collabora con L'Ultimo Uomo, Rivista Ufficiale NBA, Sporting News, FIBA Basketball e Barracudastyle.
Parla di cultura pop su Decamerette e racconta storie di sport con Gli Elefanti.
Carlotta Zanardi
di Elena Vaiani
Doveva essere in un allenamento del 2003 o 2004, quando il mio allenatore entrò in palestra sconvolto, dicendoci che la miglior marcatrice di tutti i gironi della nostra categoria, la B, era una ragazzina di 15 anni. Si chiamava Giorgia Sottana, classe 1988 ed era allenata dal padre a Treviso. Non sapevamo chi fosse. L’allenatore non poteva crederci mentre noi, universitarie, professioniste, mamme, ci siamo sentite improvvisamente tanto vecchie. Ricordo bene il mio fastidio di trentenne. Ci ho ripensato la settimana scorsa, non a quel fastidio, ma alla faccia incredula dell’allenatore di allora. Era stessa che avevo io quando ho guardato i risultati di A2 e ho scoperto che la miglior realizzatrice del girone sud della serie A2 è Carlotta Zanardi, 15 anni (classe 2005), del Brixia Basket (Brescia). Una Zarina teenager? Possibile?
Anche lei è allenata da suo padre ed è doppiamente figlia d’arte, perché la mamma, Laura Marcolini, è stata una giocatrice. Laura e Carlotta però sono legate da qualcosa in più, un’esperienza quasi unica: sono state compagne di squadra. Due anni fa, la Brixia era in B; Laura, classe 1976 e ancora in attività, meditava il ritiro per una brutta serie di infortuni. Quando però Carlotta, tredicenne, è stata aggregata al gruppo, ha ricominciato ad allenarsi per farsi il regalo di poter giocare un campionato con la figlia: «mi sono detta, Laura rimetti assieme i pezzi e ripartiamo con Carlotta». Da regolamento però, Carlotta era troppo giovane per scendere in campo. Brixia ha chiesto una deroga che fortunatamente la Federazione ha concesso.
Nella seconda giornata di campionato Brixia è ospite di Usmate; papà Zanardi mette in campo madre e figlia: 13 punti per Carlotta, 18 per Laura, vittoria per 55 a 47. Più di metà dei punti provengono da casa Zanardi. Per Carlotta è solo l’inizio; per Laura è il modo migliore per godersi la sua last dance. L’orgoglio di papà Stefano non dev’essere difficile da immaginare, lui, che ama fare le cose in casa, e bene, visto che ha creato dal nulla società e squadra.
Carlotta decolla: nell’estate 2019 arriverà la convocazione, anche se due anni sotto-quota, per gli Europei under 16 a Skopjie, dove, migliore realizzatrice della squadra con oltre 11 punti a partita, sarà protagonista del quinto posto che sarebbe valso la partecipazione ai Mondiali Under 17 nel 2020 in Romania, poi non disputati per il Covid-19. Fresca di azzurro, nel campionato 2019/2020, Carlotta si presenta come un punto fermo della squadra. Missione compiuta per Laura, che si ritira per sedere accanto al marito Stefano, come assistente. Carlotta invece non si ferma e diventa presto la migliore del girone lombardo, con oltre 25 punti di media a partita. All’inizio di febbraio 2020 firma una prestazione clamorosa contro Lodi: 46 punti (8/9 da 2 e 7/14 da 3, valutazione 54), mettendo da sola a referto la metà del tabellino della sua squadra che alla fine vincerà per 93 a 86.
La pandemia ferma il campionato con la squadra vicina alla zona playoff. E viste le rinunce di altre società la Brixia chiede di passare in A2, si rinforza con pochi acquisti, mirati, e scommette sulla crescita delle ragazze. Obiettivo: salvarsi, vincendo più partite possibili. L’ammissione arriva, ma Brescia dovrà giocare nel girone Sud. Carlotta, playmaker di quasi 180 cm, sembra addirittura trovarsi meglio in una categoria più alta, più fisica, e diventa decisiva: per sette partite su otto va in doppia cifra, ed è appunto dopo l’ottava giornata che trovo il suo nome in cima alla classifica delle realizzatrici. Cerco di capire chi sia. E poi arriva la nona giornata.
Sabato 28 novembre il basket femminile arriva sui media maggiori, incredibilmente. Il motivo? In una partita di A1 Matilde Villa, classe 2004 e in forza al Basket Costa per l’Unicef (Costamasnaga), segna 36 punti, un record: nessun giocatore e nessuna giocatrice di quell’età aveva mai segnato più di 30 punti. Matilde e Carlotta si conoscono benissimo: entrambe lombarde, da sempre avversarie a livello giovanile e compagne di squadra in tante selezioni fino alla nazionale under 16 di Skopjie, dove si sono divise il ruolo di play. Chissà se tra gli innumerevoli messaggi di complimenti a Matilde c’era anche quello di Carlotta. Fatto sta che, quando scende in campo il giorno dopo Carlotta sembra voler rispondere a Matilde e segna… un punto meno di lei, 35. E tutti gli articoli dedicati a Matilde sono già datati. Carlotta è più giovane, ci sono due record. Le Zarine teenager sono due. Nel frattempo, Brixia, che dovrebbe lottare per la salvezza, si ritrova prima nel girone Sud. E la sfida tra Zarine in un palazzetto di A1 ormai non è lontana.
Sono passati poco più di due anni dall’esordio in campionato accanto a mamma Laura. Quella che sembrava una squadra fatta in casa è diventata una realtà della pallacanestro nazionale e Carlotta è la stella che sta guidando non solo Brixia, ma anche tutto il basket femminile. Un movimento che in questo weekend sembra aver potuto, magicamente, dare un’occhiata al proprio futuro e aver visto qualcuno a cui consegnare la maglia azzurra di Giorgia Sottana, proprio quella fastidiosa ragazzina, che in queste settimane ha lasciato la Nazionale dopo esserne stata il capitano. Una Zarina, anzi due, sono pronte.
Elena Vaiani è nata nel 1972. Studiosa di archeologia, insegnante di lettere, è una ex giocatrice di basket ed ora allenatrice, e vive, tra libri e scarpe da ginnastica, a Pisa.
Tre pesi, due misure.
di Eugenia Avveduto
Gli archi partono, i fiati rispondono. Botta e risposta in crescendo. Il trillo del triangolo sembra voler ristabilire l’ordine, ma non ci riesce. Così parte il “Can-can” di Offenbach nell’Orfeo all’Inferno in tutta la sua confusione ragionata. Le gambe delle donne nei vaudeville danzano su quelle note anche in America. Ma non tutte le donne su quei palchi sono ballerine, alcune combattono.
Stivaletti ben allacciati alle caviglie, calzamaglia scura per coprire un qualsiasi lembo di gamba, vestiti ricamati e sottogonne svolazzanti a ogni torsione. Capelli intrecciati come madonne e guantoni alle mani. Una quinta prospettica si apre su un grande giardino dipinto, con tanto di fontana al centro. Una fila di alberi e arbusti all’orizzonte sono metamorfosi del pubblico. Putti di cartapesta fanno il tifo sul parapetto. Entrano in scena due donne, una contro l’altra, si muovono nella simmetria dello spazio. Non c’è ring, non c’è arbitro e non c’è nemmeno una vincitrice.
È il 6 maggio 1901, sul palcoscenico non ci sono ballerine sorridenti pronte a divertire il pubblico, ci sono le sorelle Gordon e non scherzano per nulla.
Bessie e Minnie sono le prime donne che, con grazia tersicorea a suon di pugni, rimarranno impresse sulla pellicola muta, per mano di Thomas A. Edison. Le due sorelle si esibiscono sul palco della storia del cinema e del pugilato. Allora erano probabilmente due freaks, ma la storia della boxe femminile forse parte dalle Gordon Sisters e arriva alle vere campionesse di oggi.
Soltanto alle Olimpiadi del 2012 tre pesi (mosca, leggeri, piuma) entrano in gara, più di un secolo dopo quel film. Prima di allora il pugilato femminile era puro divertissement, non era considerato uno sport per donne: poco grazioso, troppo violento per essere premiato con una medaglia. I movimenti di braccia e gambe erano solo coreografie per ridenti spettatori che applaudivano a quei pugni come si faceva alle recite dei burlesque nei teatrini.
Pugili e ballerine in un paragone ossimorico. Un parallelismo ironico che vuole chiamare a riflettere su quanto il destino delle donne sia stato per troppo tempo sbeffeggiato, prolungando la conquista di piccoli e grandi traguardi.
Oggi le donne della boxe combattono libere da quelle vesti ingombranti, snellite da tutti i pregiudizi, cariche e potenti tanto quanto gli uomini, determinate a vincere tutti quei premi che per secoli sono stati loro preclusi. Un incontro al femminile è semplicemente uno sport.
Eugenia Avveduto è nata a Modica nel 1990, vive e lavora a Roma e si occupa di cinema e arte.
Si laurea prima in Architettura e poi si specializza in Teatro allo IUAV. Dopo aver vinto un premio di critica cinematografica, ha scritto e pubblicato recensioni per la 74° Mostra del Cinema di Venezia. Ha curato cineforum e ha collaborato alla direzione artistica di eventi in collaborazione con il Condominio Fotografico e il Nuovo Cineteatro Aurora di Modica.
Gabre Gabric
di Mattia Grigolo
Lanciare il disco è equilibrio e controllo del proprio peso. Del tempo e dello spazio, come in narrativa. Forza. Una danza goffa che, fissata in una goccia, diviene simbolo di immensità. Torcersi, dondolarsi, lanciarsi, lasciare, arrestarsi.
Gabre Gabric è nata nel 1914 oppure nel 1917. Nessuno, per molti anni, lo ha saputo con certezza.
Originaria di Mostar - nell’attuale Bosnia-Erzegovina - e spedita dal padre, nel 1923, negli Stati Uniti, per salvarla dalla Guerra. Cresciuta nella suburbia di Chicago, nessun ricordo della sua lingua madre, pochi dell’uomo che l’ha abbandonata nel Nuovo Mondo. Fino al compimento dei tredici anni, quando papà la riporta a casa, a Zara, in quella Dalmazia naturalizzata italiana. L’impatto è devastante, estranea alle proprie origini, di appartenenza incerta.
Gabre si dedica anima e corpo allo sport; atletica leggera, ma soprattutto nuoto e canottaggio. A bordo della canoa vince il suo primo premio, diventando Campionessa dell’Adriatico, ma è un altro l’amore vero e arriva un giorno di maggio, su un campo di atletica. Gabre sta chiacchierando con Ottavio Missoni, suo grande amico e allora campione di corsa a ostacoli. Un disco, lanciato da un atleta in allenamento, le atterra ai piedi. Lo raccoglie e lo lancia indietro, con naturalezza quasi infantile. Il disco vola come portato da una forza sconosciuta e atterra lontano, molto lontano.
Nell’agosto del 1936, tre mesi dopo, Gabre entra da lanciatrice olimpica azzurra all’Olympiastadion di Berlino. Ha solo due gare ufficiali alle spalle.
Ci sono due figure chiave, l’una sugli spalti e l’altra sul manto erboso: Adolf Hitler e la lanciatrice tedesca Gisela Mauermayer. Il primo, intoccabile nella sua potenza. Nei suoi ricordi il Führer è “una piccola persona insignificante, ma con occhi bestiali”. E poi Gisela, troppo forte, troppo tedesca. Arriva decima, ma i Giochi Olimpici di Berlino, per Gabre, sono i blocchi di partenza verso una carriera strepitosa.
Finita la Guerra, la Mauermayer viene distrutta dalla colpa dell’aver gareggiato per la Germania nazista, mentre Gabre spicca il volo, come i dischi, i pesi, i giavellotti che ha lanciato nella sua straordinaria carriera. Consegnandosi alla storia.
C’è una foto seppia, scattata in controluce. Il cielo sembra terso, ma forse non lo è. Il giorno sta tramontando oppure è l’alba. Non si distinguono i tratti somatici dell’atleta, s’intravedono le gambe nude, pantaloncini bianchi a vita alta, una maglietta scura imbrunita dal deterioramento della grana. Ciò che colpisce l’attenzione è la posizione congelata dallo scatto. Sembra di guardare il futuro. È una proiezione. Lasciare e guardare andare. La gamba destra staccata dal terreno, il braccio sinistro quasi a nascondersi dietro la schiena. L'altro, quello del lancio, incurvato sul petto nell’atto di raggiungere il gemello. La testa protesa verso il cielo. In proiezione. Sembra sorridere, Gabre, dietro l’ombra della sovraesposizione, mentre guarda il disco andare lontano.
Mattia Grigolo è autore, giornalista e insegnante di scrittura creativa.
Fonda a Berlino il progetto di laboratori creativi Le Balene Possono Volare e la rivista Yanez Magazine.
Colleziona dischi che suona con il moniker di Musica Matta.
Interista dal giorno uno.
Vi lascio con una canzone perfetta per la domenica.
Come al solito ci trovate su Instagram.
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A domenica prossima con il terzo avvento!
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