Paris-Roubaix 2022
Di unghie dipinte, docce, vento e polvere e di come il cielo è azzurro sopra Roubaix
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Come si dice, prima il dovere e poi il piacere. Possiamo partire.
Oggi parliamo della gara più arcaica dopo il calcio storico fiorentino: la Paris-Roubaix.
Vento e polvere. La Paris-Roubaix del 2022.
La Paris-Roubaix è la classica che a detta de* espert* è rimasta più simile al ciclismo delle origini. Qualsiasi cosa voglia dire questa affermazione, ci sono dati di fatto che parlano di una competizione dura, estenuante per il fisico e per la mente e – a determinate condizioni – persino pericolosa per l’incolumità de* atlet*.
La classica francese nella sua versione femminile parte da Denain e consta di 155,5 km (quella maschile è di 256 km) di alternanza fra asfalto e frazioni di pavé che in totale sono diciassette, tutti di diversa lunghezza e contrassegnati da un coefficiente di difficoltà variabile dall’una alle cinque stellette. L’arrivo a Roubaix è segnato da un pavé di 300 m molto facile che introduce al velodromo, in cui le cicliste devono compiere un giro e mezzo prima di tagliare il traguardo.
Quella del 16 aprile 2022 è stata la 2ª edizione femminile di questa gara, che nella sua versione maschile è arrivata invece alla 119ª edizione. Del perché ci sia un gap di 117 edizioni fra la gara maschile e quella femminile, invece, non è dato sapersi.
2021 – caos e cadute La prima edizione del 2021 è stata contrassegnata da un grado di epica alto tanto quanto ci si dovrebbe aspettare da una gara così speciale, per certi aspetti d’altri tempi. Il percorso complicato che mette duramente alla prova le cicliste, il paesaggio che a tratti sembra un quadro fiammingo di ambientazione esterna, le condizioni meteorologiche severe sono caratteristiche che certamente erano state prese in considerazione. Ma la serie di slittamenti dovuti alla pandemia ha fatto sì che – invece della consueta data intorno al giorno di Pasqua – la gara inaugurale si svolgesse il 2 Ottobre, la mattina seguente ad un giorno di pioggia autunnale nord-europea. Le condizioni del terreno sono visibili nel video qui sotto: fango, pozze d’acqua e sampietrini scivolosi. In certi frangenti del percorso le cicliste sono persino rovinate a terra una dopo l’altra in un inquietante effetto domino. Alla fine di quella tappa indimenticabile è stata l’inglese Lizzie Deignan (squadra Trek Segafredo) a sollevare lo storico e pesantissimo trofeo a forma di cubo di granito, materiale con cui si producevano i sampietrini almeno originariamente.
Elisa Longo Borghini l’ha giustamente definita una gara di “caos e cadute” in cui molte sono scivolate, e altre si sono seriamente fatte male. Da quella gara Ellen van Dijk era uscita con una commozione cerebrale che si era provocata a 20 km dal traguardo. Come molte altre era caduta, e poi si era rialzata e aveva proseguito fino al velodromo e aveva scoperto di essersi fatta seriamente male solo dopo un check-up post gara. Elisa Balsamo invece era scivolata sul pavé e ha raccontato che poi il dolore alle mani per le vibrazioni le era rimasto per giorni.
Eppure, nonostante le difficoltà era importante esserci per diversi motivi: perché era un momento storico e molte avevano aspettato anni per correre la stessa tratta dei colleghi maschi. Anche se poi molte cicliste non si sono ripresentate a questa edizione del 2022. Un ammutinamento notevole che meglio di tutte ci racconta Marta Bastianelli in una intervista per bici.news:
(La Paris-Roubaix) Però al tempo stesso è una corsa pericolosa o che può diventarla se le condizioni meteo sono brutte, proprio come l’anno scorso. Di sicuro dopo quella esperienza (del 2021) la Roubaix non è adatta a tutte. Chi l’ha disputata ad ottobre solo perché, giustamente, era un onore esserci ma magari lo ha fatto senza avere le caratteristiche fisiche giuste (…), secondo me domani non si ripresenta al via.
Ce ne siamo rese conto tutte. In molte hanno dovuto rinfoderare tutto quell’entusiasmo. Personalmente ero piuttosto scettica sullo stato di grande eccitazione che c’era nel gruppo. Avevo il dubbio che non tutte sapessero a cosa stavano andando incontro. Già dopo la ricognizione io avevo capito che sarebbe stata un macello. Avevamo dolori un po’ dappertutto.
2022 – vento e polvere E così era inevitabile che nei giorni precedenti alla partenza della seconda edizione le domande girassero intorno alle condizioni atmosferiche molto bagnate del 2021. Sul confronto con lo scorso anno ho letto e sentito di tutto, da alcune cicliste che dicevano che con il percorso bagnato ed infangato sarebbe stato molto più divertente, a quelle che come Ellen van Dijk hanno dichiarato che, dopo l'incidente grave dello scorso anno, in caso di pioggia il fidanzato non avrebbe dato il consenso alla partecipazione.
Ma la seconda edizione invece è diversa. Intanto la campionessa uscente Lizzie Deignan è in maternità (e nonostante questo la Trek-Segafredo le ha confermato il contratto qualche settimana fa) e poi il percorso di gara è asciutto e ventoso. Inoltre, esattamente come previsto da Marta Bastianelli, molte atlete non se la sono sentita di tornare e al loro posto ci sono molte debuttanti: 69 cicliste nuove su un totale di 141. Le italiane sono 17, 2 in più della scorsa edizione. Olanda e Francia (rispettivamente con 29 e 26 atlete) sono le nazioni con la maggior rappresentanza. Eppure il gap fra le cicliste italiane, un gap di rappresentanza e di preparazione, si sta accorciando e questa Paris-Roubaix ce lo dimostrerà empiricamente.
Quando a poche ore Marianne Vos risulta positiva al Covid, e con la vincitrice uscente Lizzie Deignan in maternità, si apre il varco per le altre favorite. Su tutte c’è la belga Lotte Kopecky, ma nel gruppone delle dieci ce ne sono anche tre italiane: Elisa Balsamo – campionessa del mondo in carica –, Marta Bastianelli ed Elisa Longo Borghini.
Sia Bastianelli che Longo Borghini avevano già fatto bene nella scorsa edizione, si erano qualificate rispettivamente quinta e terza. Ma a fronte di questi dati Longo Borghini si presenta al via dopo una lunga sinusite fastidiosa e un mood piuttosto basso che non la fa sentire nelle migliori condizioni per affrontare una gara un cui lo stato della salute mentale conta moltissimo.
Certi amori non finiscono Erano ventitré anni almeno che non guardavo una classica del ciclismo in televisione. Era un’usanza postprandiale con mio nonno, dopo che avevamo nuotato e poi eravamo andati a comprare il pane in bicicletta in centro a Sarzana. Ed è curioso come oggi pomeriggio fossi sdraiata sul letto a guardare la mia prima Paris-Roubaix proprio durante il mio soggiorno di passaggio in questa cittadina, dove lui non c’è più e io torno per ridurre le dimensioni di tutto. Avevo dimenticato la concentrazione che ci vuole per restare presenti ad un gara di ciclismo. Il fatto di prestare attenzione al gruppo anche quando sono kilometri che non accade nulla. Ed è così che è andata anche questa volta. Ero sdraiata sul letto e in quel frangente di tempo in cui ho guardato il telefono Elisa Balsamo, una delle favorite per la vittoria di questa gara, è stata espulsa per essersi appoggiata troppo a lungo all’auto ammiraglia, e Elisa Longo Borghini ha sferrato l’attacco che prima le ha fatto assorbire il gruppo in testa, composto da Brand, Kopecky e Bastianelli, e poi le ha permesso di superarlo sul Templeuve, l’ottavo settore di pavé a circa 90 km dalla partenza.
Da quel momento in poi Elisa Longo Borghini è stata quasi sempre da sola in testa. Un atteggiamento epico, una cavalcata senza nessuno che le desse il cambio a tagliare il vento in una giornata che ventosa lo era davvero. Intanto nel gruppo di inseguimento la sua compagna di squadra Lucinda Brand ha continuato a lavorare per contenere i tentativi di Lotte Kopecky e Marta Bastianelli di riprenderla in volata.
Longo Borghini è stata in vetta da sola, e lo è stata per circa 30 km. Sempre con pochi secondi di vantaggio, uno stacco dalle altre che sembrava non realizzarsi mai definitivamente. La distanza è stata costante e l’ha mantenuta salda fino alla sezione del Carrefour de l'Arbre. Il tratto di ciottolato più complicato, contrassegnato da cinque stelle, dove se si esce in vantaggio, si può davvero pensare di portarselo fino alla fine.
Eppure la solitudine ha anche i suoi lati positivi, perché da sola Longo Borghini non ha dovuto contendersi con nessuna le sottili strisce di terra ai bordi del pavé dove il percorso è meno sconnesso e procedere è più agile. Invece lei va, costante. E solo a circa 10 km dalla fine fa una sbavatura, va un po’ troppo dritta sulla curva, la bici esce di strada ma Elisa riesce a tenere in equilibrio la ruota posteriore, e dopo essersi rimessa in carreggiata prosegue fino al velodromo senza particolari difficoltà.
Elisa Longo Borghini nella fuga sembra in trance. Di tanto in tanto piega la testa oltre la spalla per guardare dove sono le altre, ma per il resto del tempo mantiene una pedalata sciolta, non sembra mai stanca, nemmeno negli ultimi 300 m di strada leggermente sconnessa che conducono dentro al velodromo di Roubaix. Non una vera e propria sezione di sampietrini, ma più una passerella dove è finalmente possibile presentire il momento in cui, dopo aver compiuto un giro e mezzo della pista, si andrà a tagliare il traguardo. E infatti lei fa così, e lo fa per prima.
Salute mentale Elisa Longo Borghini questa gara non voleva nemmeno correrla. Nelle settimane precedenti alla Paris-Roubaix c’erano stati problemi fisici, una sinusite molto forte, e alcune prestazioni ed allenamenti che avevano abbattuto il morale della ciclista della Trek Segafredo. Era stato il team a insistere dopo le prove convincenti degli ultimi giorni. Nonostante questo Longo Borghini non se l’era sentita di partire sabato scorso, finché Paolo Slongo, il suo allenatore, ha insistito. Di fatto saltare l'Amstel Gold e la Brabantse Pijl era stata una scelta complicata ma strumentale per la sua guarigione definitiva e la vittoria di sabato. Come ha detto lei stessa, ha dovuto fare un passo indietro per farne due in avanti. Ma a volte va così, che la forma fisica la scolpisci dal blocco mentale e improvvisamente le gambe vanno come se non fossero le tue.
Quindi, dopo la vittoria di Lizzie Deignan dello scorso anno, 2/2 alla Paris-Roubaix per il team Trek-Segafredo. Queste vittorie sono il risultato di una forza mentale incredibile, della voglia di farcela, del lavoro di squadra e di uno sponsor, la Segafredo di Zanetti, che sta investendo un sacco di soldi nello sport femminile (cfr. Virtus Segafredo Bologna femminile che quest’anno ha assoldato Cecilia Zandalasini dal Fenerbahçe).
Ma non sarà anche poi merito della Domane, la bicicletta spaziale con il monocorona anteriore pensata apposta da Trek per la Paris-Roubaix?
Che dire, mi sembra proprio un bell’oggettino, no?
Bonus track A volte controllo se la treccia che Ada Hegerberg si fa prima di scendere in campo è maniacalmente sempre uguale a se stessa. Ci deve essere anche un motivo scaramantico dietro, non credo che sia solo una questione di stile. Per lo stesso motivo sono certa che il rossetto rosso che Shanice van de Sanden sfoggia ad ogni partita non può essere altro che di Chanel. Non so perché questi dettagli mi piacciono tanto, ma so che raccontano una parte della storia dell’atleta.
Per me la Paris-Roubaix è iniziata con le foto dei corpi delle cicliste alla fine della gara del 2021. Ero sconvolta dalle cadute continuative, dalle ginocchia corrose dal pavé insozzato di fango. Il ciclismo è uno sport pericoloso, lo sappiamo. Il punto è che ai miei occhi la Paris-Roubaix stava unendo il pericolo e lo stile, l’arcaico e l’eleganza. Sono stata ossessionata dalle foto delle mani della prima Paris-Roubaix per mesi. Ciclicamente torno sul profilo ufficiale della gara e le riguardo, le osservo con più attenzione, e mi perdo nei dettagli. Il colore diverso di un’unghia dell’una, le unghie ad uncino di plexiglas dell’altra e mi esalto per la fantasia che ci vuole a curarsi così un dettaglio se poi metti in conto che probabilmente andrai a finire dentro al fango per una brutta caduta.
Del 2022 invece mi restano le immagini dei volti delle cicliste segnati dalla terra secca che scontorna il naso, gli occhi. Il palmo sbucciato di qualcuna, e poi gli orecchini di perla di Elisa Longo Borghini che fanno capolino dal casco protettivo e che luccicano sotto il sole che l’accompagna in solitaria per trenta kilometri.
Restano anche la maglia bianchissima cerchiata di Elisa Balsamo e la sua treccia perfetta, che sembra non sciolga mai. E lo scotch protettivo a losanghe bianche su sfondo nero messo sull’orecchio destro a coprire l’orecchino.
L’orecchino di perla di Elisa torna poi anche sotto la celeberrima doccia di rito nel velodromo di Roubaix. Un’usanza che esiste dagli anni Quaranta, quella di lavarsi di dosso la terra e il fango e la stanchezza alla conclusione del percorso di gara.
Pare che gli uomini non ci trovino più tanto piacere nel portare avanti questa tradizione; qualcuno ha persino definito queste docce come infernali, esattamente come infernale è la Paris-Roubaix. Lo scorso anno però, alla fine della prima edizione femminile, tutte le cicliste hanno fatto la doccia di rito – erano lì anche per questo. Per lavarsi via la polvere e il dolore mescolati all’anima che ci vuole per presentarsi al nastro di partenza della Paris-Roubaix.
PEZZI DA RECUPERARE E COSE DA GUARDARE
È successo di nuovo: Fran Kirby ha bisogno di una pausa di riflessione dal calcio
Com’è cambiata la Nazionale di calcio femminile negli ultimi anni?
Abbiamo una nuova n.1 ai draft WNBA: Rhyne Howard
Dopo tutta la Zarina sulla Paris-Roubaix ne vuoi sapere ancora di più? C’è un documentario su YouTube e si chiama Grit and Grace
E c’è anche un podcast: “125 anni di attesa” di Parole Alvento
Infine il grande classico. Paris-Roubaix e questioni di disuguaglianza: le docce storiche
Da aprile del 2022 Zarina è un progetto che ha una forma nuova.
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Note a pie’ di pagina Questo numero non avrebbe potuto avere la stessa puntualità senza l’aiuto di Flavio che mi ha accompagnato nella visione della Paris-Roubaix sabato pomeriggio spiegandomi in PVT cose tecniche e tattiche che io da sola non avrei mai compreso. Inoltre nel post gara ha condiviso foto, articoli, conoscenza ed entusiasmo. Questo numero di Zarina è dedicato a te.
INCONTRA ZARINA
Vi ricordo che martedì 19 aprile Zarina è da BASE a Milano alle 18:30 per parlare di visioni dal futuro, sport femminile e collettivi che vogliono spaccare tutto.
Domenica 24 aprile invece sono a Roma, in Piazza Vittorio alle ore 12:00 con Daniele Manusia, Alessandra Chiricosta e Roberto Tofani. Che facciamo? Parliamo di sport e beviamo birrette. Accorrete a conoscerci!
Vi ricordo invece che dal 21 aprile è possibile pre-ordinare il mio “Velata. Hijab, sport e autodeterminazione” sul sito di Capovolte Edizioni. Il testo esce il 26 aprile e da lì in poi ci vediamo un po’ in giro per parlarne.
Ciao Zariners, ci sentiamo presto!
PS L’immagine di copertina di questo numero è tratta dal profilo Instagram di Thomas Maheux
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