Ciao! Sei su Zarina, la newsletter sullo sport (femminile) che per arrivare in tempo sul calendario è uscita in notturna.
Il 12 gennaio Zarina ha fatto il suo esordio televisivo su “Quante storie”, la trasmissione sulla RAI condotta da Giorgio Zanchini ed Emilia Zazza. Se non hai visto la Zeta Coronata in diretta noi ti mettiamo il link al video proprio qui sotto così puoi recuperare il momento:
Questo è il primo numero del 2022 e quindi lo facciamo un po’ diverso. Iniziamo con tre Zarine notevoli del mese di gennaio.
Becky Hammon back to WNBA
Da un paio di stagioni si era iniziato a parlare della possibilità che Becky Hammon, ex play-guardia in WNBA e assistente allenatrice di Gregg Popovich ai S. Antonio Spurs, avesse una squadra NBA da allenare tutta per sé. Il fatto che una donna potesse diventare la prima allenatrice di una squadra del campionato di basket più importante e tradizionalista del mondo è stata la fantasia di molt* appassionat* di pallacanestro. Quella di Hammon è una storia avvincente che puoi recuperare su un pezzo uscito per l’Ultimo Uomo che era stato titolato “Becky Hammon è pronta per l’NBA”, un’asserzione a posteriori amara che si è rivelata del tutto utopica. É del primo gennaio la notizia che la nostra allenerà le Las Vegas Aces – franchigia texana di WNBA. Una nuova esperienza che sarà ricca di momenti sportivi bellissimi ma che non possiamo fare a meno di leggere come un ripiego rispetto al fatto che – tristemente – la NBA non è ancora pronta per avere una donna head coach.
Ash Barty vince l’Australian Open
Il 29 gennaio scorso l’australiana Ash Barty ha vinto la finale degli Australian Open battendo l’americana Danielle Collins per 6-3; 7-6. Ad un certo punto della sua carriera Barty si è presa una pausa dal tennis e si è messa a giocare a cricket. Ma poi è tornata, più forte di prima. Se vuoi saperne di più su di lei, Elena Marinelli ha scritto un profilo dal titolo “La strada tortuosa di Ashleigh Barty verso Wimbledon. Cadute e ascesa della tennista australiana”che con un sottotitolo così non può che promettere epica pura.
Poi abbiamo chiesto ad Elena di darci un paio di chicche su questa finale tramite Whatsapp. Eccole.
Erano 44 anni che all'Australian Open non vinceva un* australian*
A premiarla è stata Evonne Goolagong Cawley e lei non lo sapeva che sarebbe successo ed è il suo idolo (ricordi il vestito di Wimbledon ispirato a quello di Goolagong degli anni 70?)
A fine match ha fatto una cosa che non ha mai fatto: gridare.
Che tu dici: embè? Eh no per lei è strano, stranissimo, ha sofferto una pressione diversa in quell'incontro
Quando ha vinto, è andata da Casy Dall'acqua, che è una ex giocatrice di tennis, specialista di doppio che l'ha accolta con sé quando lei è tornata dopo il cricket e diciamo l'ha convinta a tornare. Tutto questo per dire che è una persona molto speciale
Valentina Giacinti in prestito alla ACF Fiorentina Femminile
Dopo le ultime brutte uscite del Milan prima della pausa del campionato era chiaro che la finestra di mercato avrebbe portato alcuni cambiamenti netti alla rosa rossonera. La felicità per l’arrivo della giocatrice difensiva Alia Guagni al Milan (di ritorno dopo quasi due anni all’Atletico Madrid) si mescola ad un sentimento di nostalgia per la perdita di due colonne portanti: Vero Boquete e Valentina Giacinti, entrambe in partenza verso l’ACF Fiorentina Femminile guidata da Patrizia Panico.
Abbiamo chiesto a Valentina Forlin come le è sembrata la Fiorentina in queste prime uscite.
“Direi che nonostante i recenti acquisiti è ancora immersa in una sorta di forma embrionale di bipolarismo: perde malamente con il Sassuolo, blocca sul pari la Juve che non pareggiava dal 15/18 ma si blocca con l’Empoli. Un po’ come i razzi di Elon Musk che costano un botto, vanno a mille ma si schiantano sulla luna”.
E poi il Milan:
“Sul calcio di gennaio ti direi che sono già esaurita perché le società ci hanno fottuto di brutto con il mercato. Il Milan che vuole davvero puntare alla Champions non ce l’aspettavamo, ormai pensavo fosse uno di quei propositi tipo “da lunedì dieta”.
La Zarina di Gennaio è Shannon Courtenay
L’ago della bilancia
di Elisa Virgili
La bilancia è un oggetto che c’è in quasi tutte le nostre case e che agisce come un dispositivo di controllo sul corpo delle donne in modo più o meno invadente durante tutto l’arco della loro vita – soprattutto durante l’adolescenza.
Spesso si ambisce a raggiungere a un peso percepito come ideale – altrimenti detto peso forma – senza considerare i diversi parametri che lo condizionano; tutto quello che si fa il più delle volte è auto-imporsi un numero da raggiungere.
Per le ragazze e le donne che praticano sport il peso poi assume un’importanza diversa, non maggiore o minore ma semplicemente diversa. Il peso infatti viene controllato in relazione alle necessità della prestazione atletica. Ci sono sport in cui è importante prendere peso (più rari nel caso degli sport femminili) e ci sono sport in cui l’imperativo è non ingrassare. L’esempio più eclatante è appunto la boxe, una disciplina sportiva in cui il peso è fondamentale e determina categorie, e sforare può comportare l’esclusione dalla gara.
Nel pugilato infatti ci sono determinati range di peso in cui rientrare e questa norma è finalizzata ad equilibrare le caratteristiche fisiche tra chi sale sul ring. Tuttavia le caratteristiche antropometriche dell’atleta, ossia la struttura ossea, la lunghezza degli arti e la massa muscolare, non possono essere valutate solamente mediante il peso. L’equilibrio poi sta nell’avere le migliori caratteristiche antropometriche al minor peso possibile per poter avere un vantaggio rispetto all’avversari* del medesimo peso.
È chiaro comunque che la bellezza di un incontro non dipende soltanto da questi paramenti; a giocare un ruolo fondamentale sono infatti la tecnica e, a seconda di come lo si vuole chiamare, il cuore e la testa. Tutti elementi questi che, però, non possono prescindere dal peso di un’atleta. Così si fa di tutto per rientrare nel peso di categoria nell’intero periodo che precede una gara e anche immediatamente dopo la pesa indetta nel giorno che precede il match ufficiale. In caso contrario il regolamento prevede che si abbiano due ore per rientrare nella giusta categoria di peso. Per fare ciò i/le pugili in certe occasioni sono costretti ad usare metodi piuttosto discutibili che permettono di perdere il poco peso in eccesso attraverso la rapida perdita di liquidi. Ciò comporta che si debba bere poco prima della pesa e poi sudare tantissimo ricorrendo anche a modi poco ortodossi come saltare la corda con indosso tre strati di tuta oppure facendo una sauna avvolti in una coperta.
Alcune ricerche hanno cercato di valutare gli svantaggi nella performance dovuti a rapide perdite di peso, tagli calorici o disidratazioni. Mi riferisco in particolare a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Sport Physiology and Performance, dal titolo “Rapid Weight Loss is Not Associated With Competitive Success in Elite Youth Olympic-style Boxers in Europe”, che prende in esame oltre 80 pugili Elite Olimpionici, di 12 paesi diversi. Quello che emerge è che il 45% del campione preso in esame ha utilizzato metodi ritenuti troppo estremi e pericolosi per la salute al fine di rientrare nel peso per combattere, ed il 33% di questi ha avuto un calo della performance che ha influito nella gara.
Una sorte simile sarebbe toccata probabilmente anche a Shannon Courtenay, pugile inglese ventottenne che fino ad ottobre scorso deteneva il titolo mondiale WBA dei pesi gallo. L’8 ottobre scorso, in occasione della pesa precedente alla gara contro Jamie Mitchell con cui avrebbe dovuto difendere il titolo mondiale, la pugile è inaspettatamente risultata di oltre 1kg più pesante rispetto al peso dichiarato. Come da prassi le sono state date le due ore per perdere peso e rientrare così in gara.
Courtenay non solo si è rifiutata di scendere di peso in due ore ma il giorno dopo ha spiegato la sua scelta dal suo account Instagram dicendo:
"Ieri avevo raggiunto il peso giusto. Ero pronta a partire. Poi ieri sera inaspettatamente mi è venuto il ciclo mestruale che, come è noto, fa aumentare di peso. Durante gli allenamenti di preparazione non abbiamo mai avuto problemi di questo tipo. Sono stata in forma per tutta la settimana, ero pronta. Dire che sono devastata è un eufemismo, non mi era mai successa prima una cosa del genere. Sono sempre professionale, ma quello che è successo questa volta era al di fuori del mio controllo. E non posso farci niente. Ma quello che posso fare è andare là fuori domani [sabato] sera per vincere e riprendermi la cintura. E questo è esattamente quello che farò".
Non è certo la prima volta che il tema delle mestruazioni emerge come problematica nello sport, né tantomeno che un’atleta porti alla luce questo argomento in maniera eclatante. Basti pensare alla maratona che Kiran Gandhi ha corso a Londra nel 2015 durante in ciclo mestruale e senza assorbente perché “una maratona, di per sé, è già un atto simbolico, che esiste da secoli. Perché non utilizzarla come un mezzo per fare luce sulla condizione di tutte le mie simili, di tutte le mie sorelle che non hanno accesso agli assorbenti e che, nonostante i crampi ed il dolore, devono nascondersi come se il ciclo non esistesse?” (…) “se c'è una persona che la società non può insultare, è un maratoneta. Non puoi dire ad un corridore di darsi una pulita”.
Così il free bleeding – “sanguinare liberamente” – è una pratica messa in atto dalla singola persona ma nasce come movimento politico che letteralmente mostra come da una parte non ci sia nulla di vergognoso da nascondere e dall’altra come le mestruazioni siano una condizione sempre presente – non si può far finta che non ci siano solo perché non le vedi. E poi, in ultima istanza, è utilizzato anche come protesta contro la tassazione degli assorbenti considerati ancora in molti paesi un bene di lusso (in Italia gli assorbenti sono passati dal 22% al 10% solo recentemente). Nella dichiarazione di Shannon Courtney ho visto una modalità molto simile. Mai nell’ambito del pugilato era stata fatta una dichiarazione di questo tipo, soprattutto perché la boxe è una disciplina tradizionalmente maschile e il tema delle mestruazioni ovviamente non viene preso in considerazione.
Dai risultati preliminari di una ricerca che sto conducendo e che riguarda proprio il rapporto delle pugili con il loro ciclo mestruale, emerge che effettivamente le mestruazioni sono un problema in particolare per quanto riguarda la questione del peso, e non tanto della performance o della percezione del dolore come inizialmente mi aspettavo.
Quello che mi sembra si possa leggere dalla dichiarazione di Shannon Courtenay e dalle prime interviste che ho fatto alle pugili (e in particolare quelle agoniste) è in primo luogo una riflessione sulla diversità dei loro corpi rispetto ad uno standard sportivo costruito su un corpo neutro maschile. Nonostante la maggior parte delle atlete affermi di non percepire grossa differenza nelle prestazioni a seconda del periodo del ciclo in cui si è (anche se diversi studi di medicina dello sport affermano il contrario) e nonostante sostengano di non voler allenamenti diversi e di non discuterne con i propri allenatori perché non è una cosa che determina un cambiamento così radicale nella preparazione, sulla questione specifica del peso, legata proprio ad una norma precisa, emergono critiche e abbozzate rivendicazioni.
Tutte le atlete con cui ho parlato però percepiscono il ciclo come un problema perché poco dipendente dalla propria volontà e dalla preparazione atletica. Certo, molte atlete utilizzano la pillola anticoncezionale per regolarizzarlo e una parte la utilizza in modo continuativo al bisogno proprio per non avere le mestruazioni durante le gare, tuttavia questo non risolve il problema della ritenzione idrica e quindi del peso. C’è inoltre da segnalare il fatto che l’equilibrio ormonale della donna è più delicato di quello dell’uomo, e una perdita di massa grassa eccessiva tende ad alterare i cicli ormonali. Una delle conseguenze principali è l’ipomenorrea, ovvero la diminuzione delle mestruazioni e con flusso ridotto, che potrebbe evolvere anche in amenorrea, la loro assenza totale. A lungo termine questa condizione può avere degli effetti sull’apparato riproduttivo.
E il fatto che Shannon Courtenay, una campionessa mondiale di boxe, lo abbia dichiarato in conferenza stampa significa prima di tutto cominciare a scardinare tabù e senso di vergogna che ancora aleggiano attorno alle mestruazioni, e in secondo luogo mettere in luce proprio i meccanismi di uno sport tarato solo sul corpo maschile.
Il punto non è, a mio parere, cercare i modi per rientrare nel peso nonostante le mestruazioni e quindi adattarsi a una norma creata da chi e quando i corpi delle donne non salivano sul ring, ma pensare a pratiche e regole diverse, naturalmente senza che questo diventi l’ennesima limitazione per le donne, ma al contrario facendo un ragionamento che scaturisca dalle basi di come sono pensati lo sport e l’agonismo.
E questo lo lascia intendere ancor meglio un’ulteriore dichiarazione di Shannon Courtenay in relazione alla possibilità di poter scegliere se diventare madre o meno. Come molte altre atlete infatti anche lei ha sofferto per quasi tre anni di amenorrea e qualche mese prima del famoso match aveva avuto un consulto medico a riguardo proprio per capire quanto questa condizione fosse reversibile e se ci fossero dei possibili danni permanenti al suo apparato riproduttivo. Questo porta naturalmente a tutta un'ulteriore riflessione che riguarda la possibilità della maternità e più in generale al professionismo nello sport femminile e quindi alle tutele che mancano alle donne che decidono di fare dello sport una professione. Ma questa è una riflessione che ci porterebbe effettivamente un po’ lontano.
Vorrei invece tornare molto vicino, più di quanto ci possa essere sembrata questa storia che coinvolge grandi arene, pubblico internazionale, campionesse mondiali e ingenti investimenti economici.
Da dove possiamo cominciare allora per ripensare lo sport a partire dai corpi? Credo si possa cominciare proprio da quel luogo in cui si viene a contatto con lo sport per le prime volte e il luogo dell’educazione per eccellenza: la scuola.
Ho provato a farlo con il progetto Corpi che sanguinano in collaborazione con Codici Ricerca e Intervento. Un progetto che è visibile A QUESTO LINK e che mi ha messo in condizione di dialogare sia con ragazze e ragazzi delle scuole che con i/le loro insegnanti. Queste sono alcune delle domande a cui abbiamo cercato di dare una risposta insieme:
Come si sentono le ragazze quando hanno lezione di Scienze Motorie e hanno le mestruazioni? Come ne parlano con l* insegnanti? E con l* compagne?
Quali sono i discorsi che si costruiscono attorno ai corpi di chi ha le mestruazioni e come questi corpi sono costruiti da questi discorsi?
Negli ultimi anni la struttura delle lezioni di Scienze Motorie è decisamente cambiata, non c’è più quell’imbarazzante divisione fra maschi che giocano a calcio e femmine, nella migliore delle ipotesi, a pallavolo. Tuttavia la questione delle mestruazioni risulta ancora non del tutto risolta.
Ragazze e ragazzi ne parlano in modo più aperto e disinvolto, e la maggior parte delle ragazze, soprattutto chi pratica sport anche fuori dalla scuola, non vede più le mestruazioni come un impedimento all’attività sportiva. Tuttavia ancora non se ne parla esplicitamente con l’insegnante, soprattutto se uomo, e la minor vergogna di parlarne non implica una maggior conoscenza del tema e dei propri corpi. Ancora l’educazione sulle mestruazioni (e più in generale su tutto ciò che concerne apparato riproduttivo e sessualità) è affidata a famiglie e amiche mentre sarebbe necessario che di questo si facesse carico la scuola.
Uno dei luoghi in cui la scuola può farlo è proprio la palestra, dove i corpi più che altrove non sono neutri. Da lì credo si possa partire per una maggiore consapevolezza dei propri corpi, che significa non solo una maggior consapevolezza individuale ma anche di come si entra in relazione con il mondo esterno, di cui lo sport, come tanta letteratura ci insegna, è una grande metafora.
Elisa Virgili è ricercatrice nel campo della Filosofa Politica e degli Studi di Genere. Si è occupata della relazione tra genere e sport in diverse pubblicazioni e convegni, ma anche in assemblee, palestre popolari e spogliatoi. Cerca di non tener troppo separate la teoria e la pratica allenandosi come pugile.
Se volete portare il progetto “Corpi che sanguinano” in una scuola potete contattare Elisa Virgili e Codici Ricerca e Intervento.
“Corpi che sanguinano” indaga diversi aspetti della relazione tra mestruazioni e lezioni di Scienze motorie: come si sentono le ragazze, come lo comunicano a compagn* di classe e docenti, quali taboo sono ancora presenti e cosa si può migliorare.
In questo modo si cerca di restituire parte della ricerca proponendo alla vostra scuola il poster da mettere negli spogliatoi della palestra.
Se siete interessat* Elisa organizza dei momenti di confronto sul tema nelle scuole come interventi al gruppo classe durante l’orario scolastico o durante delle assemblee.
Insomma la ricerca non è finita e sarebbe bello confrontarsi con voi.
Potete contattare Elisa a: corpichesanguinano@gmail.com
Una foto che ci è piaciuta questo mese
Satou Sabally è una cestista tedesca che milita nelle Dallas Wings e nel Fenerbahçe di Instanbul. Qui esegue l’ultimo passo di un terzo tempo e appoggia la palla ad un tabellone invisibile. La Grazia.
E una playlist creata apposta per voi da Zarina e Anna Rabagiova che si chiama “gennaio, buoni propositi”
Ci sono BPM abbastanza alti e un po’ di mood berlinese di queste ultime settimane.
Una comunicazione di servizio
Sono aperte le segnalazioni per i Diversity Media Awards che premiano i personaggi e i contenuti media che hanno contribuito a una rappresentazione valorizzante della diversità nelle aree genere e identità di genere, orientamento sessuale ed affettivo, etnia, età e generazioni, disabilità in Italia.
Se ti piace quello che facciamo su Zarina e ritieni che il nostro lavoro valorizzi la diversità nel campo dello sport ci puoi SEGNALARE a QUESTO LINK come “miglior progetto digital”.
E anche questo mese siamo arrivate in fondo sulla sirena. È stato un gennaio di tagli con il passato, c’è stato un viaggio in Sicilia che volevo fare da tempo e per la prima volta non da sola.
Questo numero è stato redatto da Berlino ma molto probabilmente il prossimo sarà redatto sotto il sole delle Canarie. Sto già passando in rassegna i vestiti leggeri da mettere in valigia e poi la mitica borsa di Zarina che mai come nell’ultimo anno mi ha accompagnata in posti. Se vuoi vedere come è fatta e la vuoi anche tu basta che pigi questo bottone rosa qui
Noi ci leggiamo a fine febbraio ma se prima di quella data hai una comunicazione da farci basta che rispondi a questa mail oppure mi scrivi a giorgia@zarinanewsletter.it
Infine ricorda: #siamotutt*Zarina