Area Piccola è in libreria
Il mio romanzo di esordio per Marsilio che ci ha messo undici anni per arrivare sullo scaffale della tua libreria preferita
Ciao. Se sei qui da un po’ è qualche mese che non ci sentiamo. Se invece sei nuovæ da queste parti, qualcunæ ti avrà parlato di questa newsletter sullo sport femminile che esce una volta al mese e che però, da quando ti sei iscrittæ tu, non ti è mai arrivata. E invece eccoci qui. Che cosa è accaduto da dicembre a oggi? È accaduto Area Piccola, il mio romanzo di esordio pubblicato oggi da Marsilio che ci ha impiegato undici anni per arrivare sullo scaffale della tua libreria preferita.
In questo numero di Zarina ve ne lascio un estratto che parla di squadra, di complicità, di talento, di movimento sotto canestro, dei segreti e dei silenzi che le compagne di squadra condividono quando la porta di uno spogliatoio si chiude e tutto il mondo resta fuori. Una lettrice molto attenta mi ha detto che è un libro sul talento, soprattutto. Ed è proprio così. Lo spirito guida di questo racconto della vita di Chris è Lily Briscoe di Gita al Faro, che ci mette dieci anni per fare il ritratto che voleva e che alla fine dell’arco di un romanzo intero, viene fuori proprio come lei se l’era immaginato.
Una piccola nota a pie’ di pagina prima di lasciarti un estratto: puoi ordinare il libro nella tua libreria preferita oppure online qui sulla pagina di Marsilio. Fra le due possibilità è comunque meglio in libreria. Cioè, io farei così. Andrei in libreria.
Poiché sono in confino a Berlino da qualche mese ormai, stasera presenterò Area Piccola con Carlotta Sanzogni sull’Insta del Libraccio alle 18.30. Vediamoci lì.
“Che problema ci sarebbe se venissero a saperlo, le ha chiesto. Chris sa cos’accadrebbe. Queste ragazze smezzano la vita con lei da dieci anni: sono cambiati i volti, sono cambiati gli spogliatoi, ma prima o dopo c’è stato un comune denominatore che ha unito il tempo che si sono trovate a vivere insieme, la maglia che portano indosso e difendono ogni domenica. Si sono strette l’una all’altra nei momenti più duri, si sono asciugate le lacrime e il sudore. Fuori dal campo si sono prestate vestiti di paillettes troppo stretti sulle spalle, e dentro lo spogliatoio mutandine pulite. Si sono cucinate il pranzo quando una di loro era malata. Nessuna chiamata alle quattro di notte è rimasta senza risposta, nessun bisogno di parlare è rimasto inascoltato. C’è stato un orecchio persino per il silenzio.
Il legame con queste bambine, ragazze, donne è stata la maglia, la società, la squadra. Un senso di appartenenza come succede con un cognome, o una schiatta. Delle dieci ce n’è sempre una che ha tutte le risposte. A turno, una di loro si è svegliata ispirata, ha mangiato bene, ha fatto un riscaldamento perfetto: la giocatrice che quel giorno ha qualcosa da dimostrare, un discorso privato che dentro il campo si fa pubblico. Sarà lei a essere in partita, a segnare più volte sul suono della sirena.
Se venissero a saperlo, che cos’accadrebbe? Questo ha chiesto Silvio. Chris dovrebbe iniziare spiegando la diversità di rango dell’allenatore, che è un corpo esterno, qualcuno che arriva per imposizione dall’alto e ritiene di stare lì a decidere e comandare, mentre non sa che in realtà è la squadra che gli sta facendo il favore di lasciarlo decidere. E di questi allenatori poi, quanti ne ha visti saltare, insieme alle loro polo logate e agli schemi disegnati con il pennarello sulle lavagnette di cartone. Quanti sono finiti nel dimenticatoio dopo che due o tre di loro, in squadra, l’avevano avuto sull’anima, a volte anche per una piccolezza, e poi avevano fatto un bel lavoretto ai fianchi dentro lo spogliatoio al punto da farlo odiare da tutte. Le ragazze sono una squadra fino in fondo, nel bene e nel male: l’avversario di una è l’avversario di tutte.
Meglio non essere avversario.
Chris sa chi di loro andrebbe a cercarla sotto la doccia o mentre si slaccia le scarpe nello spogliatoio per dirle quanto è poco professionale ciò che lei e il coach stanno facendo. Sa anche chi di loro non direbbe nulla: le ragazze più giovani. Loro non si permetterebbero, ma solo perché non si sono ancora conquistate, in campo, il diritto di parola fuori dal campo. Eppure niente le risparmierebbe gli sguardi di disapprovazione, le labbra che si increspano per non parlare. E non farebbero più a gara per portarle il borsone nello spogliatoio durante le trasferte o per porgerle la borraccia durante il time out, mentre Silvio parla e le giocatrici hanno giusto sessanta secondi per fare pace con la propria testa. Non avrebbe più il diritto di scaricare su di loro le piccole frustrazioni degli allenamenti che certi giorni proprio non vanno.
Le tradizioni non risparmiano nessun membro della famiglia, e in un tempo che oggi sembra lontanissimo era stata Chris a portare le borracce a quelle più grandi. I pasticcini a ogni ritardo, anche quelli inventati. Si ricorda gli sbagli nelle partite di allenamento, che a volte nella sua storia personale erano stati più importanti di certe finali; si ricorda i suoi errori e il terrore che aveva delle grandi prima ancora che degli allenatori. Dentro un disfacimento silenzioso, e fuori quel provare e riprovare gli esercizi, arrivando a ripeterli la sera a letto con gli occhi chiusi, prima di addormentarsi.
Il desiderio di essere come loro, come le compagne grandi. Così diverse da sua madre, piegata sulla scrivania a tirare una riga sull’altra. Viola stava sempre immobile o si muoveva per le stanze silenziosa, ma le donne che Chris voleva imitare volavano alto con la palla in mano, e con le loro trecce lunghe schiaffeggiavano le avversarie a ogni passo sincopato dell’uno contro uno sotto canestro. Queste donne arrivavano nello spogliatoio con i segni del costume a due pezzi e i racconti della notte passata a casa di qualcuno. I letti a volte troppo morbidi, certe altre troppo duri, comunque sempre troppo corti. Erano potenti e coraggiose dentro il campo, la mano precisa come quella di un tiratore scelto. Si raccontavano le storie avvenute fuori da lì, a volte c’erano di mezzo degli uomini, a volte delle donne, ma alla fine a vivere senza gli sguardi del pubblico incollati addosso si annoiavano. Senza le urla della tifoseria avversaria a bucare i loro timpani, questi uomini che le portavano a cena finivano per suonare sempre troppo banali. Questi uomini che comparivano sugli spalti, stavano lì con gli occhi sottili per via dello sforzo fisico e mentale di seguire un gioco a cui non si erano mai interessati prima, e dopo poco tempo scomparivano. E così si smetteva di parlare di loro nello spogliatoio, non c’erano più i battiti delle loro mani incerte confusi con quelli della tifoseria, non si vedevano più sulle gradinate, seduti composti e impettiti, così fuori posto che se non si fosse saputo chi erano si sarebbe pensato che avessero proprio sbagliato palazzetto.
A turni comparivano sugli spalti padri, madri ed ex compagne di squadra che a volte erano state anche compagne di vita. A loro, a queste persone più intime, erano dedicati i canestri più belli: gli puntavano contro il dito, indicavano due punti importanti, l’omaggio più prezioso. Le ragazze facevano tutto questo per il pubblico. Volevano essere amate da tanti, da chiunque. E Chris aveva imparato tutto da queste donne. Qualsiasi cosa. Anche che l’amore di uno solo non sarebbe mai più stato abbastanza.”
E per oggi è tutto. Io devo andare a festeggiare. Noi ci sentiamo presto, prestissimo.
Fino a quel momento però non dimenticare: siamo tuttæ Zarina!